domenica 30 novembre 2008

GRAN PALIO 2 IL RITORNO



Il Gran Palio della Signoria dei Bentivoglio è ancora in corso, ed anzi oggi vivrà probabilmente il giorno di maggiore affluenza di pubblico, ma ne parlo ugualmente dopo la toccata e fuga di ieri nel bellissimo scenario della Rocca di Bazzano circondata dalla neve.
Nonostante proprio la neve abbia scombinato le cerimonie di premiazione previste per venerdì, il Palio è ripartito con un meritato successo di pubblico, già a partire dalle 14 di ieri.


L’Accademia della Muffa Nobile, in particolare i vulcanici Alessandro Jachelli e Fabio Bassi, ha messo in fila una bella e ampia selezione di vini Passiti (con tutte le sfumature del caso, dai Muffati ai Vini di Ghiaccio, agli Amarone e simili) nazionali e in minima parte esteri (per l’anno prossimo è annunciato un gemellaggio con i produttori del Burgenland). Ricordo con molto piacere la bella selezione di trentini e altoatesini e i numerosi Picolit in degustazione.



In massa la presenza piacentina con oltre 20 vini presenti, molti dei quali premiati nei vari concorsi che hanno animato il Palio. Dunque, i concorsi. Le categorie erano veramente tante. Vi segnalo solo quelle in cui sono stati premiati vini dei Colli Piacentini. Nella categoria del miglior PASSITO DOLCE ha prevalso il Vin Santo di Vigoleno 2000 di Perini a parimerito con il Gaudium 98 di Tili, secondo per un soffio il Vin Santo 97 di Barattieri, terzo, a parimerito con altri due vini, il Vin Santo di Vigoleno 98 di Lusignani.
Tra le VENDEMMIE TARDIVE ha prevalso ancora un vino piacentino, il Moscato Dolce Montepascolo 07 di Cardinali.
Tra i VINI DI GHIACCIO, secondo Emozione di Ghiaccio 05 di Croci.
Tra i MUFFATI, terzo a parimerito con altri due vini il Buca delle Canne 06 della Stoppa.
Nella specifica categoria MALVASIA DEI COLLI PIACENTINI ha prevalso il Vigna del Volta 06 della Stoppa, davanti a L’Arte Contadina 06 di Enrico Loschi e al Danza del Sole 04 di Solenghi (questi ultimi due giunti insieme a parimerito) ed alla Rosa di Vigna 05 di Mossi.
Infine, erano previsti premi anche per i vini più adatti all’abbinamento con il Panspeziale, dove il Vin Santo di Vigoleno 03 di Paolo Loschi ed il Buca delle Canne 06 della Stoppa sono risultati tra i migliori.

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domenica 16 novembre 2008

GRAN PALIO


Sabato 29 e domenica 30 novembre a Bazzano (Bo) appuntamento con la seconda edizione del concorso internazionale dei vini da dessert “GRAN PALIO DELLA SIGNORIA DEI BENTIVOGLIO”. Le sale della Rocca di Bentivoglio ospiteranno i seminari, gli incontri e sopratutto i banchi di assaggio, circa 400 i vini in degustazione, dalle 14 alle 22 di sabato e dalle 10 alle 20 di domenica. Il Gran Palio premierà i migliori vini presenti, divisi per categoria e l’abbinamento ideale con il Panspeziale, dolce natalizio bolognese.
Massiccia la presenza dei vini piacentini, ben 21 aziende e 22 vini presenti, tra Vendemmie Tardive, Passiti e Vin Santi.
Per ulteriori informazioni sugli appuntamenti in programma e sulle
convenzioni con le strutture ricettive della zona è possibile consultare i siti
www.concorsovinipassiti.it e www.muffanobile.it (mail: info@muffanobile.it) o
chiamare il 340.1736805 (Fabio Bassi).


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venerdì 14 novembre 2008

BUON SENSO, NON IDEOLOGIA

Saverio Petrilli alla Stoppa

Altra divagazione per ricordare che ieri 13 novembre si è svolto un bellissimo incontro alla Stoppa con Saverio Petrilli di Tenuta di Valgiano, azienda lucchese convertita nel 1997 al Biologico e nel 2001 al Biodinamico.
E proprio di Biodinamica ha parlato e discusso coi produttori presenti, Saverio (Premio per la Viticoltura Sostenibile 2008 per la Guida Vini d'Italia di SlowFood e Gamberorosso), che della filosofia di Steiner segue una via concreta e pratica che non fa cadere le cose dall'alto. Il maestro di Saverio Petrilli è infatti Alex Podolinsky, australiano noto per il suo approccio pragmatico alla materia. Buon senso, appunto, non ideologia.
L'incontro è stato condito dalla degustazione di 7 vini scelti da Saverio, ovviamente tutti provenienti da aziende in Biodinamica. I vini:
PALISTORTI BIANCO 06 (Tenuta di Valgiano)
MACON VILLAGES QUINTAINE 04 (Guillemot-Michel)
CABERNET SAUVIGNON RIO DELLE VIOLE 07 (Tenuta di Aljiano)
PALISTORTI ROSSO 06 (TENUTA DI VALGIANO)
MELOGRANO 06 (PODERE CONCORI)
SANMARCO 04 (CASTELLO DEI RAMPOLLA)
TENUTA DI VALGIANO 05 (TENUTA DI VALGIANO)

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domenica 9 novembre 2008

L'ATTESA


L’azienda di Gaetano Solenghi è minuscola (2,5 ettari coltivati a barbera, croatina, malvasia e ortrugo dai quali si ricavano 15.000 bottiglie all’anno) e custodisce tesori poco visibili (difficilmente i suoi vini si trovano in enoteche e ristoranti, la vendita è fatta quasi tutta a privati). Siamo a Battibò di Strà in comune di Borgonovo, Solenghi ha fatto scelte precise e coraggiose, come fermentare i mosti avvalendosi solo dei lieviti indigeni, come proporre un Gutturnio frizzante rifermentato in bottiglia ed un Gutturnio Riserva ed una Barbera ferma che vengono immessi sul mercato tre-quattro anni dopo la vendemmia, tutte rarità, oggi, nei Colli Piacentini. L’”Attesa”, non a caso, è il nome scelto per battezzare la Barbera, vino longevo e di carattere che sfida il tempo. Vini in generale rudi e decisi, molto grintosi, “selvatici” e senza compromessi. Un’azienda di cui poco tutto sommato si sente parlare, anche se la stampa specializzata non la ignora del tutto. Ne è esempio l’articolo pubblicato dal numero 28 di Spirito DiVino, dove il Passito Danza del Sole 2004 è risultato tra i migliori della provincia e ne dà prova anche la Guida Vini d’Italia di SlowFood-Gamberorosso, dove lo stesso vino è giunto alle finali per i Tre Bicchieri, sfiorando il massimo riconoscimento.






Il Danza del Sole dunque, vino ottenuto da vigne di Malvasia piantate nel 1991 su suoli argillosi. Nota a margine sul nome, bel richiamo insieme al tipo di appassimento e alla pratica rituale degli indiani d’America (chi ha visto Un Uomo Chiamato Cavallo?).

Locandina di A MAN CALLED HORSE

La produzione è molto limitata, 400-450 litri all’anno, ovvero – quando va bene – 900 bottiglie da mezzo litro. I grappoli vengono stesi e fatti appassire su teli bianchi di plastica (la stessa procedura seguita dalla Stoppa e dal Negrese) ed il mosto viene poi fatto fermentare in un tonneau usato da 350 litri acquistato nel 2001, utilizzato in quello stesso anno per la fermentazione della Malvasia ferma e, dall’anno successivo, per la fermentazione del Passito che è stato prodotto solo nel 2002, 2004, 2007 e 2008. Un’altra parte del mosto fermenta in una damigiana. Partendo da residui zuccherini elevatissimi, il succo impiega mesi (…anni…visto che ora sta ancora fermentando il concentratissimo 2007…) per terminare la fermentazione ed “assestarsi” naturalmente, tanto che ora è in commercio il 2004. Pochissima la solforosa aggiunta, ma appena prima dell’imbottigliamento si fa una filtrazione per evitare il rischio di rifermentazioni.



LA DEGUSTAZIONE

2002
Naso maturo di datteri e fichi secchi che rimanda a latitudini meridionali, polposo sì, ma forse non abbastanza grasso per reggere pienamente un’impronta tannica decisa che asciuga un po’ e rende il bicchiere nervoso e amarognolo. Vino ispido e affascinante.

2004
Appassimento per un paio di settimane al sole. Affinamento pre-bottiglia di oltre due anni e mezzo. Ramato-arancione intenso, il naso è giocato su note di bella e polposa maturità evolutiva (pesca, albicocca, agrumi, fichi, dattero e prugna secca) con tratti di austerità speziata a rendere l'insieme più complesso. La bocca è densa e larga, ma trova dinamismo e lunghezza in uno sviluppo voluminoso e compatto non privo di contrasti dolci-amari.

2007
Assaggiato dal tonneau; pur nella parziale chiusura olfattiva che vive ora, riesce già a sprigionare note varietali e una bocca di grande dolcezza che porta con sé rilievi e contrasti che dovrebbero garantire a questo mostro di concentrazione una buona bevibilità.
Gaetano spilla il 2007 dalla botte

La produzione del 2007

2008
In piena fermentazione, è più inintelleggibile anche se dopo alcuni minuti nel bicchiere la carbonica tende a svanire ed emerge un vino pieno e grasso, sì, ma decisamente più “sottile” rispetto al 2007, meno dolce e meno concentrato.
Il Passito 2008 in fermentazione

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sabato 8 novembre 2008

MALVASIA A CHERO

Malvasia Hotel a Monemvasia

Dopo il "laboratorio del gusto" che si terrà domenica 23 novembre a Faenza all'interno di Enologica, un altro appuntamento con i Passiti piacentini, venerdì 5 dicembre alla Taverna-Antica Osteria di Chero, serata organizzata da SlowFood Piacenza che vedrà protagonisti 8 Malvasia da appassimento degustati alla cieca ed accompagnati da fagottini di castagne con zucca e uvetta, formaggi erborinati e sbrisolona. Info e prenotazioni: 0523858904 - 3386238576

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martedì 28 ottobre 2008

PREPARATORI D'UVA


Una divagazione dall'argomento principale del blog per ricordare il bellissimo incontro tecnico organizzato da Slow Food Piacenza che si è svolto ieri pomeriggio alla Tosa di Vigolzone con Marco Simonit e Pierpaolo Sirch, i due "preparatori di uva" friulani che pongono il focus del loro lavoro sulla salute delle vigne ed il loro invecchiamento, cercando di capire perchè le vigne in Italia non invecchiano bene, tanto che sono rari i vigneti over 40 in buona salute. La risposta (una delle risposte) sta nella perdita di certi modelli viticoli tradizionali (vedi alberello) e nella conseguente omologazione viticola che ha portato con sè una gestione della pianta più aggressiva, con potature che spesso non salvaguardano la salute della vigna portandola a morte prematura. Da qui il rischio di perdere un patrimonio e di ottenere vini non in grado di esprimere al meglio il territorio.
Qui sotto il link a un testo scritto da Simonit e Sirch.

"La comunicazione enologica nostrana si è concentrata ultimamente su alcune parole chiave: zonazione, selezione clonale, gestione della chioma, controllo delle rese, regime biologico e biodinamico. Tutti concetti estremamente importanti: ma alla biodiversità viticola chi pensa concretamente? Alla fin fine non possiamo certo accontentarci esclusivamente del biologico e del biodinamico, soprattutto se prima di dedicarci a queste validissime pratiche si omologano gli impianti seguendo le direttrici citate in precedenza. Tutelare le vigne più vecchie significa anche tutelare il seme e il patrimonio genetico di quella singola vigna, ovvero svolgere un'azione importante dal punto di vista ecologico, sociale, culturale"
Marco Simonit e Pierpaolo Sirch
SLOW FOOD, Slow Food Editore, ottobre 2008

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lunedì 13 ottobre 2008

ENOLOGICA


Dal 21 al 23 novembre a Faenza si svolge l'undicesima edizione di ENOLOGICA, Salone del Vino e del Prodotto Tipico dell'Emilia-Romagna, curata per il secondo anno consecutivo da Giorgio Melandri. Molto ricco come sempre il programma degli eventi tra cui vi segnalo una degustazione di Gutturnio il 22 alle ore 20 e soprattutto una degustazione di vini dolci piacentini da appassimento (Malvasia e Vin Santi) il 23 alle ore 20.

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mercoledì 1 ottobre 2008

ANCORA BIO


Vi segnalo questo link: "http://vino.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/09/10/a-bio-piacendo/" (...scusate, non riesco a linkarlo correttamente...)
dove Ernesto Gentili, nel blog condotto insieme a Fabio Rizzari, affronta l'argomento dei "vini bio" prendendo spunto da un testo di Antoine Gerbelle pubblicato sul numero di giugno della Revue du Vin de France. Interessanti anche i commenti. Buona lettura

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domenica 28 settembre 2008

TRE BICCHIERI!


Ormai è ufficiale: i Colli Piacentini raggiungono per la seconda volta il traguardo di 3 "Tre Bicchieri", ovvero 3 vini che ottengono il massimo riconoscimento dalla più importante Guida, quella di SlowFood-Gamberorosso. L'edizione 2009 della Guida verrà presentata sabato 25 ottobre presso il Salone del Gusto di Torino ed in quella occasione si potranno assaggiare tutti i vini premiati, tra cui i 3 piacentini: Malvasia Passito Vigna del Volta 2006 della Stoppa, Malvasia Passito 2006 del Negrese e Cabernet Sauvignon Luna Selvatica 2006 della Tosa.

Su 3 vini piacentini premiati dunque 2 sono Malvasia Passiti. E' la prima volta che 2 Malvasia Passiti ottengono il prestigioso riconoscimento (...credo un segno dei tempi, più che un caso...), che in passato, limitandosi ai vini dolci, era stato ottenuto già 3 volte dal Vigna del Volta, stabilmente tra i migliori passiti nazionali, mentre è la prima volta assoluta per Il Negrese, primo tre bicchieri della Val Tidone. "Solo" in finale invece il Vin Santo di Barattieri (sempre da uve malvasia), dopo 2 "Tre Bicchieri" consecutivi.
Un riconoscimento che pone sempre più Piacenza come terra della Malvasia e come terra della Malvasia versione passita. Un riconoscimento che premia, oltre agli habituè La Tosa e La Stoppa, un'azienda piccola e umile come Il Negrese, capace di raggiungere livelli di eccellenza costanti con il suo Passito (e non solo), come anche l'annata 2007 appena imbottigliata è lì a dimostrare.

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giovedì 25 settembre 2008

L'AVVOLGENTE DOZZINA



E' in edicola finalmente il numero 28 di Spirito diVino, che dedica (da pagina 60 a pagina 68) un bellissimo articolo di Pierluigi Gorgoni sui Malvasia Passiti piacentini intitolato QUELL'AVVOLGENTE DOLCE DOZZINA. Molto interessanti anche le note di degustazione dei 12 vini selezionati dalla rivista. Nella degustazione, alla quale ho avuto la fortuna di partecipare, hanno avuto la meglio il Vigna del Volta 06 della Stoppa e il Danza del Sole 04 di Solenghi.

Confermati in linea di massima i valori emersi in marzo nella degustazione per questo blog, quindi un generale maggior apprezzamento per i vini da appassimento al sole, visto che anche Il Negrese si è comportato molto bene. Una conferma pure per La Tosa e poi due (parziali) novità: Enrico Loschi e soprattutto Tenuta Malanotte di Pietro Gazzola, alla prima uscita con il suo Narciso e Boccadoro. Conferme per gli altri, ma sottotono Le Rane (2005) di Luretta.

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martedì 1 luglio 2008

VIN SANTO ALBAROLA 1998

Una delle botticelle del 1824 ancora utilizzate per la produzione del Vin Santo di Barattieri

Sull'onda (anche emotiva) dell'assaggio odierno della nuova annata in commercio di uno dei più grandi Vin Santi nazionali, qualche veloce riflessione su una versione che alterna tratti squillanti (il naso) ad altri più placidi (il palato). Ovvero, un naso dove la nota balsamica pare ancor più balsamica e fresca del solito (meno crema, meno zabaione) con sensazioni di eucalipto e pino silvestre, ma dove la bocca, grassa e ampia, sembra mancare un pò in profondità e nervo, senza lo slancio acido delle annate migliori. Meno complessità e meno equilibrio, insomma. Detto questo, siamo sempre a livelli di eccellenza ed assaggiare il Vin Santo di Barattieri rimane esperienza da provare almeno una volta per gli appassionati di vini dolci.
89/100.

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giovedì 26 giugno 2008

IO SONO MEGLIO DI TE



Sempre dall'ultima Bettane...sempre sui vini BIO e non-BIO...francesi e non solo...

“UN VINO BIO E’ MIGLIORE DI UN VINO NON-BIO?

C’è molta confusione sulla nozione di vino BIO, volutamente mantenuta da alcuni addetti ai lavori o da giornalisti per niente indipendenti dal commercio o dalla produzione di questi vini.
Se vogliamo parlare di biologico o biodinamico utilizzando precisi criteri o tenendo conto di certificazioni rigorose e legali, allora il “vino BIO” è un abuso di linguaggio: bisognerebbe parlare di “vino da agricoltura biologica”. Perché tutto il vino è BIO per definizione, in quanto prodotto dai microrganismi viventi della fermentazione.
Sulla qualità dei grappoli BIO diciamo che, se in fase viticola non sono stati commessi errori, senza alcun dubbio essi esprimeranno con più forza e complessità i caratteri dati dal terroir e dall’annata e dunque costituiranno una materia prima di maggior qualità per il vino futuro. Meglio se la materia prima sarà ben vinificata, in modo che le informazioni contenute nei grappoli di partenza siano espresse con precisione. E qui in genere iniziano i problemi con molti dei produttori BIO: convinti che solo i lieviti del terroir siano degni di fermentare il proprio vino e che l’aggiunta di zolfo non possa che rovinare la purezza morale del proprio prodotto, essi ottengono spesso vini instabili, sia sul piano visivo, con torbidità e opacitià, sia sul piano gustativo, con acidità volatili elevate, e poi aromi poco eleganti e soprattutto la perdita dell’individualità della propria origine, a causa dell’alterazione aromatica che altera anche tutto il resto.
Perché tra i lieviti del terroir ce ne sono di buoni come di cattivi e i cattivi tendono a prevalere sui buoni in fase fermantativa, se preliminarmente non sono state create le condizioni per un’adeguara protezione utilizzando zolfo.
Intendiamoci, nei casi migliori, i vini “naturali” hanno una purezza e una digeribilità incomparabile, ma spesso cosa siamo costretti a sopportare, malgrado l’affetto paterno accordato a questi vini da produttori illuminati, sommeliers, giornalisti, cuochi e commercianti irresponsabili?
Rallegra dunque sapere che i grandi viticoltori biodinamici di questo paese, gli Zind-Humbrecht, i Leroy, i Leflaive, i Morey, i Lafon, i Viret, i Perrin sono anche vinificatori accorti, che conoscono perfettamente l’importanza del controllo e della precisione nell’elaborazione di un prodotto “nobile”.”


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BIO!

Rudolf Steiner

Da La Grand Guide des Vins de France 2009 di Bettane e Dessauve alcune riflessioni molto interessanti (e che in gran parte condivido) sui vini BIO. Si parla ovviamente di vini francesi, ma i temi sono facilmente ampliabili al resto della produzione europea e mondiale. Anche ai vini Passiti piacentini.

"L’agricoltura BIO è di moda. Esiste dunque una viticoltura biologica destinata a svilupparsi, e di tutte le “famiglie” che essa riunisce si nota una preferenza per la scuola biodinamica.
Nel 1981 ho avuto la possibilità di incontrare Francois Bouchè, l’iniziatore del movimento in Francia, e ho avuto la sorpresa di vedere a poco a poco i principi filosofici di Steiner, per i quali non provo particolari simpatie, portare ad un miglioramento della qualità dei grappoli, della loro capacità di esprimere un terroir e un’annata. Interpreto questa riuscita come quella dell’osservazione e del rispetto degli equilibri naturali della vigna e soprattutto del ritorno alla via biologica dei suoli che, come sanno tutti gli agronomi seri, dovrà essere la base della viticoltura nelle nostre Appellation.
Ma bisogna tener conto dei danni commessi nell’immaginario degli appassionati da tutti i cattivi vinificatori che pretendono di fare vino naturale, senza zolfo – e che illegalmente chiamano BIO, quando la legge riconosce come BIO solo il frutto, il grappolo – e che pretendono di far passare la loro brodaglia come verità del terroir.
Da un lato quindi vini rossi puzzolenti, con lieviti indigeni che cannibalizzano quelli buoni quando il vinificatore lascia fare, e che sono gli stessi in tutto il pianeta e omologano tutti i vitigni e tutti i terroirs con i loro aromi animali. Dall’altro zuccheri decisi, colori instabili e sapori approssimativi, basta coi bianchi ossidati e morti.
Restiamo attoniti davanti alla credulità di tanti ristoratori che non presentano altro nelle loro carte che questo tipo di prodotti. E che dire di tutti quelli che li consigliano, enotecari e commercianti pronti a cavalcare l’onda del “pensiero corretto”, giornalisti che si appiccicano un’etichetta alla moda senza preoccuparsi di quello che bevono.
Intendiamoci, alcuni dei più grandi vini del pianeta sono prodotti da una viticoltura d’ispirazione BIO, ma chi li produce è cosciente delle proprie responsabilità e perfezionista in materia di vinificazione. Zind-Humbrecht, Lafon, Perrin, Leflaive, Leroy, Pinguet sono l’onore della famiglia BIO, e i loro prodotti, ammirati da tutti, servono da riferimento per valutare tutti gli altri.
Tra le Appellation meno prestigiose troveremo decine di produttori rispettosi
del suolo, della vigna, del grappolo e del vino, ma curiosamente non sono quelli che vedi
dappertutto, le " gole profonde", i furbetti e i manipolatori
d'opinione. Questi saranno pronti a fornirci un'istruzione per
l'uso, un calendario astrale che ci indichi i giorni "senza" e i giorni
"con", la caraffa per decantare otto giorni prima e il bicchiere
adeguato, e in ultima analisi - se insisteremo nel trovare i loro vini
"bizzarri" - un corso gratuito di antroposofia."


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lunedì 9 giugno 2008

A WAGNER SAREBBE PIACIUTA LA MALVASIA?

Paul Klee, Strade principali e secondarie, olio su tela, 1929,
Colonia, Museum Ludwig


La degustazione dei Passiti piacentini di ormai due mesi fa porta con sè riflessioni già in parte affrontate nei vari commenti pubblicati prima e dopo la degustazione.
Tra le riflessioni è emersa quella su quale possa essere, e prima ancora se possa esserci, LA strada ideale per appassire la Malvasia aromatica di Candia. E' una specie di domanda retorica, nel senso che in questo ambito ritengo che parlare di metodi e schemi predefiniti sia poco sensato. Dunque, già si è detto, non esiste LA strada. Esistono atteggiamenti, interpretazioni, consapevolezze. Ecco perchè, ad esempio, a risultati enologici diversi può corrispondere una lingua comune, un medesimo atteggiamento al quale possono corrispondere risultati qualitativamente e quantitativamente importanti.
Oggi parlando di Malvasia da appassimento nei Colli Piacentini penso a un magma, a un caos da cui non emerge ancora una direzione precisa, come un linguaggio confuso che tenta di prendere forma, di organizzarsi e farsi lingua, dove oggi poco o nulla è stabile e preciso, se non nell'arbitraria interpretazione delle diverse grammatiche e dei diversi vocabolari usati dai produttori.
In realtà dal magma inizia a delinearsi un embrione di discorso, non chiaro né grammaticalmente e sintatticamente perfetto, ma vivo, con alcune singole direzioni chiare e consapevoli. C’è qualcuno che parla già una lingua sicura, mentre altri tentennano e balbettano, ma è fisiologico perchè si parla di un linguaggio appena nato.
Tra coloro che dimostrano di parlare e lavorare con ottima padronanza di linguaggio ed idee chiare (anche se non del tutto, come ci dirà lui stesso) c'è senz'altro Stefano Pizzamiglio de La Tosa, che ha scelto una strada consapevole frutto di profonde riflessioni e che (c'è bisogno di dirlo?) è semplicemente la strada scelta da Stefano Pizzamiglio. Punto. Anzi, con qualcosa in più, perchè la scelta di Stefano è profondamente circostanziata e consapevole, e al tempo stesso animata da continue discussioni interiori e dubbi, come è raro trovare nei Colli Piacentini e non solo. E nel percorso che deve portare i Colli Piacentini a diventare il punto di riferimento nazionale della Malvasia, contributi (sia sotto l'aspetto filosofico, sia sotto quello produttivo e qualitativo) come quelli di Stefano possono risultare preziosissimi. E Wagner? Devo dire che a me per primo alla domanda del titolo verrebbe da rispondere: e chissenefrega! Però Wagner con la Malvasia c'entra, c'entra.

Con Stefano Pizzamiglio si parla di Malvasia in generale e si parla delle sue Malvasia, della versione passita in particolare, l'Ora Felice, prodotta dal 2005 ed ottenuta da grappoli appassiti in cassette poste lontano dal sole. La parola a Stefano.

Stefano Pizzamiglio

L'ORA FELICE
Le uve provengono da tre vigneti (Sorriso, Morello, Ronco).
Si fa una vendemmia “chirurgica” ponendo grandi attenzioni all'aspetto igienico, quindi alla sanità delle cassette, delle forbici, delle mani (i vendemmiatori indossano guanti di lattice) e all'integrità dei grappoli. I grappoli sono maturi, ma non stramaturi (solo qualche grappolo inizia ad appassire in pianta).
L'appassimento si svolge in condizioni controllate. Il tempo d'appassimento può variare molto, tanto che nel 2006 è stato inferiore al mese, mentre nel 2007 ha sfiorato i due mesi. Il 2007 aveva circa 180 gr/l di zuccheri residui (nella due annate precedenti il residuo era stato leggermente inferiore) e 11,6% di alcol svolto. La fermentazione si svolge in acciaio inox.
La produzione (in bottiglie da mezzo litro): 1.400 nel 2005, 2.800 nel 2006, 3.200 nel 2007.

I RIFERIMENTI
In qualche modo l'ispirazione per l'Ora Felice viene dall''Alsazia, in particolare dalle Vendange Tardive, e poi dai vini dolci austriaci e tedeschi; da alcuni vini dolci italiani come, per certi aspetti, il Solalto delle Pupille, certi Moscato Fior d'Arancio dei Colli Euganei, lo Shams di Aiello e alcuni passiti altoatesini come il Terminum. E poi uno dei miei punti di riferimento è Il Passito che non c'è...

INTERPRETAZIONI
Premesso che la forma di appassimento è determinante, nel senso che un vino da uve appassite al sole sarà diverso da un vino ottenuto da uve appassite in cassette, è comunque più importante il territorio e l'atteggiamento del produttore.
Un esempio per spiegare meglio il concetto. Il Luna Selvatica (Cabernet Sauvignon de La Tosa) 2003 ha fatto 6 giorni di macerazione sulle bucce, il 2007 ne ha fatti 21. Potrebbe sembrare che dietro ci siano idee diverse, cioè che i due vini siano frutto di altrettante concezioni, completamente diverse tra loro, invece tra i 6 giorni del 2003 e i 21 giorni del 2007 l'atteggiamento è lo stesso. Conta l'interpretazione dell'annata, aldilà dei tempi di macerazione e delle tecniche, perchè un'annata era più adatta ad una macerazione corta, l'altra ad una macerazione più lunga. Così, nei vini Passiti potrebbero esserci annate più adatte all'appassimento al sole, altre alle cassette. O vitigni più adatti a un appassimento piuttosto che a un altro.
Detto questo l'appassimento in cassette che io pratico, mi pare abbracci più che aggredire l'uva, rivelandone la piena complessità degli aromi. In genere invece l'appassimento al sole, che non ho mai provato, mi pare dia più espressività ma meno complessità, come se estraesse il calore del sole e poco altro. Io cerco più la finezza, la freschezza, un’infantile fragranza fruttata, un impianto strutturale abbastanza nordico (in omaggio e a fotografia del nostro usuale clima di inizio autunno), piuttosto che descrittori aromatici candito-fico-mediterranei e una struttura densa ed opulenta. Cerco la serbevolezza e le leggerezza nel mio Malvasia Passito. Cerco le sfumature dell'aurora, più che la vitalità espressionista. Ma, pur convinto della strada che sto percorrendo, non penso certo che possiamo ottenere, io e la mia strada, tutto il meglio che si possa trarre dall’uva a cui mi sto applicando. Anzi…



CONFRONTI
La Malvasia aromatica di Candia è così poliedrica e polifonica che si presta a tante interpretazioni e a più forme di appassimento. Poche altre uve sono così. Ci sono uve che si prestano meno a più forme di appassimento. Un'uva neutra ad esempio si presta meno ad un appassimento al sole, sarà magari più adatta ad altri appassimenti o ad altre tecniche (Vin Santi). Anche il Gewurztraminer, ricco in terpeni ma non come la Malvasia ed il Moscato, può avere bisogno della Botrytis per esprimersi al meglio, ancor di più il Semillon.

ALLA MALVASIA PIACE LA BOTRYTIS?
Nel 2007, terza annata prodotta di Ora Felice, c'è stato un 15% di Botrytis che si è sviluppato naturalmente in vigna. In futuro se la Botrytis verrà, bene, ma non sono sicuro che la Muffa Nobile, soprattutto se troppo presente, possa arricchire la Malvasia, anzi rischia di coprirla. Troppa Botrytis può smorzare il timbro aromatico del vitigno. E' il discorso di prima, certe uve, come il Gewurztraminer, hanno più da guadagnare dalla Botrytis, vedi il Terminum, che a me piace molto anche per il suo essere voluminoso senza pesantezze.

LA MALVASIA CHE SAUVIGNONEGGIA
E' una sfumatura da tenere in considerazione anche se non la ricerco, però è una caratteristica del vitigno che contiene precursori pirazinici che si mantengono in uve raccolte non troppo mature (nel mio caso, nel Passito in particolare, quindi non se ne ritrovano), poi dipende anche dal suolo perchè terreni ricchi di acqua e poco argillosi tendono a dare più pirazine e ci sono certi biotipi del vitigno che ne sono più ricchi. In cassette la componente pirazinica potrebbe mantenersi di più che al sole, soprattutto in caso di raccolta leggermente anticipata, ma bisognerebbe studiare la cosa più a fondo.

BUONI PROPOSITI PER IL FUTURO:
Nelle prossime annate intendo approfondire alcuni aspetti specifici:
controllo in fase di raccolta, nella scelta dei grappoli ad esempio (vorrei provare con grappoli a stadi di maturazione leggermente diversi);
più attenzioni in fase d'appassimento, più controllo su temperatura e umidità della camera di appassimento;
lunghezza dell'appassimento;
cura nella fermentazione. Visto che i lieviti devono fermentare una materia più densa del solito fanno più fatica e vanno aiutati e nutriti. Nella fermentazione dei Passiti ci sono ancora molti aspetti non compresi. Forse il fatto che i Passiti tendono ad essere considerati spesso vini arcaici ha fatto sì che ci siano ancora molti aspetti tecnici da scoprire;
eventuale apporto del legno, da utilizzare (con moderazione) più per l'effetto di ossigenazione e di apporto tannico, che per l'effetto aromatizzante.

A WAGNER PIACE LA MALVASIA?
Dovendo paragonare un Malvasia da uve appassite in cassette a brani musicali direi Il Mormorio della Foresta dal Sigfrido di Wagner, che rimanda ad una natura fresca e zeffirosa, mobile e viva; o il Mattutino della Tosca oppure Impressioni di Settembre della Pfm. Poi pensando alla pittura mi vengono in mente Klee, Redon, De Maria.
Paragonerei un Malvasia da appassimento al sole...sempre a Wagner, al viaggio di Sigfrido sul Reno de Il Crepuscolo degli Dei, che è solare e squillante, poi penso a certe canzoni dei Queen, a Matisse e Van Gogh.
Richard Wagner

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domenica 4 maggio 2008

GLI ANNI CHE VERRANNO


Ovvero vecchie annate non ancora in commercio dei Vin Santi di Vigoleno di Paolo Loschi e Marco Lusignani. Le annate che ancora riposano e maturano nelle botti.
Un viaggio tra annate diverse, diversissime, spesso opposte, che a volte si scoprono diverse…anche nella stessa annata. Il 2002 per Loschi (e per altri, vedi Perini) è stato un anno da dimenticare (non verrà commercializzato), non così per Lusignani, che sei vendemmie fa ebbe sì problemi con la santa maria, in buona parte marcita, ma non con altre uve più resistenti al clima inclemente di quell’annata, come la roussanne (che Loschi non coltiva).
In queste differenze vedo sia una potenziale risorsa, sia una debolezza per Vigoleno. Pur nelle diversità, un’identità più precisa non guasterebbe. Per questo i nuovi impianti in programmazione l’anno prossimo, tutti o quasi di santa maria, non possono che essere considerati positivamente, visto che si è deciso giustamente di puntare sull’uva più caratterizzata e caratterizzante presente sul territorio. Un vitigno che sembra non rischiare più l’estinzione, anche se le estensioni restano minime, comunque in crescita. Un vitigno che sarebbe curioso testare puro in vini sia secchi sia dolci da uve appassite e non solo in assemblaggio.
Il Vin Santo di Vigoleno si sta facendo conoscere sempre di più. Ed è appena stata costituita un’Associazione di Produttori alla quale hanno aderito 12 produttori (solo 6 dei quali avevano però nel 2007 vigneti iscritti all’Albo della Doc, per un totale iscritto di circa 2 ettari e mezzo). Tra gli obiettivi c’è quello di realizzare un’Enoteca del Vin Santo all’interno del borgo.

Tornando alla degustazione, aldilà della differenza tra i 2002 (uve diverse, suoli pure), non sono mancate forti similitudini in alcune vendemmie tra le interpretazioni date dalle due aziende. Il 2001 ad esempio (annata in commercio per Loschi, di là da venire per Lusignani che sta vendendo ora il 1998), entrambi complessi ed equilibrati, molto buoni, due tra i migliori Vin Santo di Vigoleno degli ultimi anni. Il 2003 (annata che Loschi inizierà a vendere tra poco), con vini ricchissimi e marmellatosi, di grande impatto. E poi la recentissima 2007, con mosti ancora (e chissà per quanto) in fermentazione, bombe che si attaccano al palato ma non prive di acidità, anche se in zona si guarda a quest’annata con qualche timore per gli eccessi di concentrazione zuccherina (qualcuno è arrivato al 40% di alcol complessivo, come farà il mosto a fermentare???).
Il quadro che ne esce è vivo e positivo, soprattutto perché, aldilà di certi alti e bassi dovuti i parte ad annate estreme, ciò che emerge è la volontà continua di confrontarsi. La curiosità e l’apertura verso il mondo, consapevoli di avere un tesoro da conservare, se possibile migliorare, e da far conoscere.
Le degustazioni si sono svolte nelle due aziende il 3 maggio 2008.


PAOLO LOSCHI-MASSINA

In località Massina, nel Parco dello Stirone, sullo stesso versante del Castello di Vigoleno dal quale dista poco più di un km, dalla metà dell’800 i Loschi conducono l’azienda di famiglia. Oggi Paolo, coadiuvato dalla moglie Patrizia e dai genitori, guida l’attività vitivinicola.
Qui le vigne sono esposte a sud-sud ovest su suoli calcareo-marnosi chiari, terre bianche con una vena di sabbia giallastra proprio sotto il nucleo aziendale verso il torrente Stirone.

terreni in località Massina

La composizione ampelografica aziendale vede una prevalenza di santa maria (circa L’80% delle uve destinate al Vin Santo), coltivata parte in località Massina, parte a Case Sozzi sullo stesso versante. Poi trebbiano e melara in vigne poco più distanti (direzione Case Orsi) e un po’ d’Ortrugo a Massina.

vigna di santa maria

germoglio di santa maria...e pendenza del vigneto

foglia di santa maria

vecchio ceppo di santa maria

vigna con filari di santa maria (in alto)

In cantina fanno bella vista tre barriques di rovere appena acquistate, che saranno avvinate con vino bianco neutro per un anno.



Si tratta di barrique rigenerate, pronte ad accogliere in futuro le uve del nuovo mezz’ettaro piantato a santa maria.
Di fianco l’ormai storica batteria di cinque barriques/botticelle composta, per la parte più di primo pelo, da una barrique simile a quelle nuove acquistata nel 2003 e due barriques di una tonnellerie borgnognona rigenerate nel 1998. Con la quarta botte le certezze temporali iniziano a vacillare e Paolo deve far ricorso alla mamma per avere notizie certe (che poi certe non sono), qui si entra in un regno misterioso dove date e ricordi si accavallano e le date diventano un po’ un’opinione, alla fine si sa solo che la botte viene dalla Pellegrino di Marsala ed ha 60-70 anni. Infine la mitica quinta botticella dove sosta l'annata pronta per l'imbottigliemento dopo essere passata per le altre quattro botti. Forse di castagno (opinione di Paolo) forse di rovere (opinione della mamma), si apre una simpatica discussione tra madre e figlio su quanti anni possa avere questa botte che è sempre stata lì a ricordo della signora, 76 primavere portate benissimo. Ipotesi finale rigorosamente approssimativa sull’età: un centinaio d’anni, decennio più, decennio meno.

La batteria

La botticella di età indefinita

Alla fine ogni anno vengono prodotti circa 180 litri di Vin Santo.
No lieviti selezionati, no solforosa.
Abbiamo degustato le cinque annate attualmente nelle botti (dal 2003 al 2007), più quella in commercio (2001), di cui restano pochissime bottiglie disponibili.

2003
Potenza e rusticità olfattiva: noce e legni antichi (...è il caso di dirlo), fichi secchi con tamarindo, zabaione e miele di castagno. In bocca subito colpisce per la potenza d’impatto: grasso, denso, oleoso, d’una opulenza fin eccessiva. Di certo non lascia indifferenti anche se l’eleganza sta da un’altra parte. 86



2004
Colore meno concentrato del 2003. Naso meno carico con sensazioni di mela e pera. Al palato meno dolcezza rispetto al 2003, con sensazioni più fresche che snelliscono il bicchiere. Meno estremo e forse meno affascinante dell’annata precedente anche perché oggi gli manca un po’ di compattezza che potrebbe parzialmente acquisire col passaggio nell’ultima botticella. 84



2005
Bicchiere un po’ torbido (l’unico tra i sei assaggiati) con sensazioni legnose un po’ disturbanti al naso. Il palato è il più nervoso tra tutti, sia per un residuo minore, sia per tannini che stringono dal centro bocca. Curioso. Aspettiamone l’evoluzione ed il successivo passaggio nelle altre botti. ???



2006
Già oggi fa pensare che possa raggiungere i livelli del 2000 e del 2001. Bell’ambra carico e limpido, naso seducente e complesso. In bocca ha equilibrio e mostra già ora buona armonia, avanza in souplesse accarezzando il palato con dinamismo. Buono già adesso, ha davanti a sé almeno tre anni di affinamento per migliorare ulteriormente. 88



2007
Pigiato a fine gennaio, meno di 150 litri prodotti, è ancora in fermentazione. Avvicinando il naso al bicchiere sembra di annusare un succo di frutta d’albicocca. In bocca sembra di bere…un succo di frutta d’albicocca, un mangia e bevi con concentrazione estrema, esagerata, che ti s’incolla alla lingua ma che non è privo di acidità. Un mostro che se non avrà troppe difficoltà fermentative ne farà vedere delle belle. ???



Paolo Loschi spilla dalla botte il Vin Santo del 2004

…e poi, l’annata in commercio:

2001
Bel colore ambra molto carico e limpido. Nobili ossidazioni al naso, con sensazioni di mallo di noce, miele di castagno e caramello, poi tracce di rabarbaro su uno sfondo che ricorda quasi un distillato. Palato opulento e viscoso, ma non stucchevole, a suo modo equilibrato, articolato e scorrevole. Complesso. 87


MARCO LUSIGNANI



L’azienda nasce negli anni ’50 in località Case Orsi, anche se è solo una ventina di anni dopo che si decide di puntare con forza sul vigneto. Oggi l’azienda è guidata dal giovane ma già esperto Marco, nipote del fondatore Alberto, che può avvalersi dell’esperienza dei genitori.
A Case Orsi i terreni sono ricchi di argille abbastanza scure e forti, dove trovano dimora vigne di santa maria vecchie di 30-35 anni, per un totale di 4-5 pertiche (circa 0,3 ettari), mentre verso il cimitero di Vigoleno le argille si fanno più chiare e qui Lusignani coltiva roussanne, melara e sauvignon da destinare al Vin Santo. L’età media complessiva delle vigne da Vin Santo supera i 20 anni.

Sullo sfondo, vigna di santa maria

Vigna di santa maria


foglia e germoglio di santa maria

Vecchio ceppo di santa maria

Vigna con tutori di legno molto alti, usanza di un tempo

Suoli a Case Orsi, scendendo verso lo Stirone

Nell’assemblaggio finale la santa maria costituisce circa il 40%, ma tra un anno verrà piantato mezz’ettaro di santa maria.
Le botti (una quarantina) sono tutte di rovere (tranne due di castagno, riconoscibili per le venature più scure), tra cui un paio di botticelle degli anni ’40. Si tratta in buona parte di barrique rigenerate.

Parte delle botti; in basso a sinistra la botticella degli anni '40 in cui oggi riposa il 1998



Per ogni annata ci sono dalle 2 alle 4-5 botti, a seconda dell’abbondanza del raccolto. Tra una botte e l’altra (vedi 2003) ci può essere una certa differenza perché una può contenere ad esempio la parte di santa maria, l’altra tutto il resto delle uve, per cui con Marco abbiamo fatto assaggi delle varie botti (provando anche a fare artigianali assemblaggi) che hanno fatto emergere a volte significative differenze. Quindi dare un giudizio prima dell’assemblaggio finale è un po’ azzardato, per questo i punteggi non sono sempre secchi.
Abbiamo degustato cinque annate dalle botti (dal 1999 al 2003), più quella in commercio (1998).

1999
I profumi sono sporcati da qualche imprecisione che penalizza in parte la piacevolezza.
Bocca abbastanza dinamica ed equilibrata, con minor residuo zuccherino e grassezza rispetto all’annata precedente. Dunque bocca avvolgente e pastosa ma senza eccessi e con sviluppo meno imponente del solito. Trova comunque buon calore e polpose sensazioni di zabaione e tamarindo. 84

2000
Assaggio di una botte soltanto. Qualche nota balsamica al naso. Palato di dolcezza relativamente contenuta, con finale che presenta una sensazione asprigna di confettura di rabarbaro e scia amarognola che disturba un po’. 83-4

2001
Bellissimo colore ambra intenso, scuro. Naso complesso e pieno. Palato polposo, elegante, equilibrato, molto dolce ma con componente acido/alcolica misurata e ben contrastata. Articolato e complesso. E molto gradevole. 87-8

2002
Una piacevole sorpresa. Grazie alla resistenza della roussanne (buona parte della delicata santa maria è marcita) Marco è riuscito a produrre un Vin Santo di buona qualità, senza la concentrazione e la lunghezza del fuoriclasse, comunque interessante e piacevole, con colore invitante di buona carica cromatica, discreta complessità e buon equilibrio. 86

2003
Sentite due botti. La barrique di santa maria in prevalenza sa di marmellata e fichi, non molto complesso, molto rotondo e molto dolce, di grande impatto; la seconda barrique appare oggi meno interessante, meno fine e persino più dolce. Ma il resto dell’affinamento e l’assemblaggio finale dovrebbero conferire all’annata la complessità olfattiva che oggi è carente. 85-7

…e poi, l’annata in commercio:

1998
Consueto seducente timbro rustico e deciso, con le classiche note di mallo di noce, ma anche di confettura di susina, tamarindo, fichi secchi e lieve zabaione; di bella larghezza e cremosità il palato che poteva sì avere più lunghezza e dinamismo, ma mostra comunque bella compattezza. 87

Marco Lusignani

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