giovedì 14 gennaio 2010

caratteri.


Tra i percorsi più stimolanti seguiti dalle aziende piacentine c'è senz'altro quello targato Lusenti. Restando al tema “malvasia”, sia la versione secca (prodotta dal 2000), sia quella passita (dal 2006), hanno trovato e stanno trovando caratteri e fisionomie sempre più leggibili, conseguenza di un lavoro in vigna sempre più intelligente e attento.
La versione secca (“Bianca Regina”) sceglie la via di una breve macerazione che esprime alcuni lati del vitigno di partenza - colore, profumi, tannini - senza mortificarli o renderli caricaturali come accade talvolta in altri bianchi da macerazione (prodotti in tutto lo stivale, in territori diversi e con vitigni diversi) dai profili (olfattivi, soprattutto) piuttosto simili tra loro, col risultato (l'equivoco) di cadere nell'omologazione anziché nell'esaltazione delle differenze.

L'annata ora in commercio (2007), è frutto di una stagione calda e ricca. Ricca pure di contrasti e sbalzi termici tra giorno e notte che hanno permesso di mantenere freschezza e nervosismo; quindi grassezza, larghezza, ma anche acidità e soprattutto tannini maturi in evidenza. Meglio ancora i profumi, ampi e complessi, agrumati e molto speziati (zenzero), in continua evoluzione col passar dei minuti.
Ed è molto interessante poi il confronto con l'annata successiva (2008), più semplice sia al naso (floreale, agrumato, meno ricco del 2007), che in bocca, dove è più lineare e scattante, fresco e salato, molto scorrevole. Dove perde in ampiezza e complessità, in quest'annata il vino guadagna in bevibilità. Dove il 2007 è complesso e da pasto, ma anche quasi da meditazione, il 2008 è...da bere. Per capirci, l'ideale per me sarebbe una Malvasia col naso del 2007 e il palato del 2008.
Il 2008 ricorda un po' il 2002, che riassaggiato oggi esprime un'evoluzione controllata (nette sensazioni speziate, balsamiche e di buccia d'arancia), soprattutto al palato, agile, fresco ed ancora supportato da adeguata polpa. Una bella (ri)scoperta.
E poi la versione dolce (“Piriolo”), che già nel 2007 esprimeva densità e grassezza ben contrastate dall'acidità, coi classici, generosi, profumi della malvasia appassita. E che nel 2008 (assaggiato pochi giorni prima dell'imbottigliamento) trova un naso dalle classiche sfumature di pesca e albicocca disidratate, che si sviluppa poi sul versante “caldo” (quasi pantesco) fatto di aromi nitidissimi di dattero e fichi secchi, con un colore pure più carico rispetto alle due precedenti annate. E fin qui tutto, o quasi, come da copione (va da sé, i migliori copioni). Quello che colpisce di più non sono tanto i profumi, non è neanche l'attacco al palato (grassissimo e opulento come ci si aspetterebbe), ma la freschezza sferzante che chiude con decisione e pulizia il finale, tanto da farti chiedere un secondo bicchiere.


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