lunedì 31 gennaio 2011

la fine del mondo.


1975: occhi bianchi sul pianeta Terra (The Omega Man, 1971)

Ogni tanto salta fuori che sotto sotto mi ha sempre attratto l’idea dell’eremitaggio in un posto sperduto. Allora parlo di quando l'ho quasi fatto.
Quasi perché sì, adesso, Acquesio in Val Trebbia non è esattamente un eremo, comunque è un posto dove uno può farsi i cazzi propri più o meno come e quando gli pare.
Ho sempre avuto la fissa di starmene per i fatti miei.
Alle elementari, quando la maestra ci dava da fare il tema in classe, io facevo sempre il Tema Libero. Mitico. Libero. La salvezza.
Io quando facevo il tema libero m'immaginavo di essere l'ultimo Uomo sulla Terra e scrivevo questa storia più o meno sempre uguale, dove c’ero io solitario che camminavo tra le macerie in mezzo al nulla e non stavo neanche tanto male per questo. Al massimo incontravo un cane che veniva con me e passeggiavamo insieme.
E a me insomma piaceva quest'idea, cioè di essere l'ultimo umano rimasto in vita sul pianeta e di vivere un'avventura alla scoperta del mondo. La vivevo bene. Che adesso, non è che essere l'ultimo Uomo sia una cosa del tutto invidiabile, però ha degli aspetti positivi, tipo non avere vicini di casa che fanno casino al piano di sopra o ti fermano a parlare sulle scale.
Io, fino a due giorni fa, la fine dell'Uomo me la sono sempre l'immaginata come ha fatto Richard Matheson nel libro Io sono Leggenda.
Ho visto anche i tre film tratti dal libro, dove l'ultimo Uomo è rimasto solo dopo un'epidemia che ha trasformato gli altri umani in mostri. Nel primo film (degli anni '60) Vincent Price è solo e disperato a Roma, depressissimo nella sua casa all'EUR, una casa così così, che già quando si alza dal letto a inizio film ti viene subito un'angoscia della madonna.

L'ultimo Uomo della Terra (1964)

Nel secondo film (degli anni '70) invece Charlton Heston vive in una bella casa nel centro di Los Angeles, spaziosa, piena di quadri e mobili antichi e vabè, parla tutto il tempo da solo e gioca a scacchi con una statua di Giulio Cesare, però in fondo un po' se la gode, che ha pure accesso alla cantina di un'enoteca. Poi conosce una ragazza carina e si mettono insieme! Insomma, sarebbe perfetto se non ci fossero i mostri (dei tizi incappucciati, molto comici, con la pelle bianca e gli occhiali da sole) che lo vogliono uccidere.
Di recente ho visto Io sono Leggenda, con Will Smith, che all'inizio mi è piaciuto perché ci sono solo il protagonista e il suo cane che ascoltano Bob Marley, ma quando compaiono i mostri, che sono pure dei brutti mostri, cioè fatti male al computer, il film diventa una vaccata.
Ecco, dunque, un po' mi è sempre piaciuta l'idea di essere l'ultimo Uomo. Ma meno depresso di Will Smith e soprattutto di Vincent Price. Al massimo pensavo a Charlton Heston, che è quello che se la gode di più.
Cioè. In generale, in tutti questi film l'ultimo Uomo è sempre triste e depresso per questo suo essere solo. Non riesce a pensare agli aspetti positivi. Ma non è colpa sua, è colpa degli sceneggiatori. Perché intanto non lo ha deciso lui di essere l'ultimo Uomo della Terra. Gli sceneggiatori lo lasciano solo, senza vicini di casa e va bene, ma lo fanno ritrovare solo a causa di qualche grosso casino. Quindi difficilmente l'ultimo Uomo della Terra può gioire di questa situazione. Poi, oltre all'ultimo l'Uomo, sulla Terra si scopre sempre che ci sono mostri tipo vampiri, zombi o robe simili, ci credo che lui non se la passi tanto bene. E poi è sempre depresso anche perché mangia delle schifezze, c'è solo roba in scatola. Non potrebbe avere, chessò, delle galline così almeno ogni tanto si farebbe un bel brodo?
Vincent Price a un certo punto appena sveglio dice: un tempo mangiare mi piaceva, ora mi disgusta. E' solo un carburante per sopravvivere. Stamattina prenderò caffè e sugo d'arancia. Poi però vede che ha finito l'aglio, allora molla il sugo d'arancia e va cercar l'aglio che gli serve per respingere i vampiri-zombi. Va nella cella frigorifera di un supermercato dove ci sono mezzene intere di vacca e un sacco di frutta e verdura e anziché prender la carne o altro cosa fa? Prende le trecce d'aglio e torna a casa ad appenderle alla porta! Proprio non ce la fa a godersela, niente da fare, è un depresso cronico.
Charlton Heston mangia cibo in scatola vario, poi però un giorno si accorge che è domenica, allora per festeggiare estrae dal congelatore una salsiccia tipo wurstel dall'aspetto poco invitante.
Will Smith non sembra neanche tanto depresso dal cibo che mangia. E' ben fornito nella dispensa, ma sempre di vasetti e scatolette. E usa passata di pomodoro ovunque, anche dove non dovrebbe. Poi tiene del bacon nascosto come chicca assoluta. Però insomma niente di che.

Io sono Leggenda (I'm legend, 2007)

Nel libro una volta il protagonista, Neville, dopo aver ucciso un po' di vampiri, nel tornare a casa si ferma in un supermercato a bere del succo di pomodoro, tipo uno che va a prendersi l'aperitivo prima di cena, però, cristo, col succo di pomodoro, che proprio non si può. Vabè.
Ho sempre pensato che l'ultimo Uomo della Terra dovesse essere tale per scelta, o almeno senza mostri che lo vogliono far fuori. E che dovesse avere almeno delle galline o comunque cibo buono. E poi, pensavo, anziché esser solo coi vampiri-zombi, non potrebbe mica scoprire a metà film di non essere solo, ma in compagnia di una colonia di nudiste norvegesi, per dire?
No, niente, invece poi, appunto due giorni fa, ho trovato il mio ideale di “ultimo Uomo della Terra”, io ignorante che mi ero sempre fissato su Matheson. Grazie a un'amica, Sonia, ho scoperto La Nube Purpurea di M. P. Shiel, libro pubblicato nel 1901, snobbato a lungo e riscoperto nei decenni successivi.
La Nube Purpurea è un libro dove l'autore, con nonchalance, infila una dietro l'altra la scoperta del Polo Nord, la fine del mondo (o meglio, dell'umanità), l'incendio e distruzione di Londra, Parigi, Bombay, Pechino, San Francisco, Costantinopoli e altre innumerevoli città. Più varie ulteriori amenità. Tipo che il protagonista incontra nel bosco una ventenne nuda della quale si innamora, contraccambiato, poi fanno un figlio. E così l'umanità riparte. Dei nuovi Adamo ed Eva.

Ci son delle cose che mi piacciono molto in questo libro, ad esempio che al protagonista il vino non manca mai, anzi letteralmente sguazza in laghi di vino rosso e ogni tanto si prende di quelle piene paurose. Poi quando gli manca lo zenzero, per dire, fa un salto a Gallipoli, quella turca (perché il tipo gira il mondo via mare, oppure in treno o in auto, a seconda delle voglie e delle necessità, è un figo, insomma), che lì ne trova fin che vuole, si mangia dei gran datteri, ha a disposizione spezie a volontà e altre robe che sanno di opulenza orientale, di pascià. E infatti, da un certo punto in poi, se ne va in giro vestito da sultano, che a dire il vero lì inizia un delirio di onnipotenza, si crede il Re del mondo, è capriccioso, si costruisce un piccolo palazzo imperiale lastricato d'oro. Per dirla tutta ha un sacco di paturnie, il tipo, i suoi problemini ce li ha pure lui eh, però tutto sommato se la cava alla grande.
E non ci sono vampiri-zombi che lo vogliono far fuori.
Se la gode. In fondo sta bene, trova un suo equilibrio.
Ecco, secondo me, si impara molto da come vive e da come mangia, da come vive la propria vita domestica, quotidiana, gli affetti l'Ultimo Uomo della Terra.
E questo tipo qui, della Nube Purpurea, è un esempio da seguire.
Nel disastro globale, se la cava proprio bene perdio, e lo invidio.

Questo testo è la versione riveduta e corretta di "L'Ultimo Uomo della Terra", pubblicato su SCHERMO PIATTO (Slow Food Editore, 2010) e sulla rivista SLOW (numero 48)

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mercoledì 26 gennaio 2011

nuovo.


I contorni dei limiti tra l'arte contemporanea e altre discipline non sono sempre netti, a volte diventa difficile tracciare una linea che operi una separazione precisa.
L'estetica del mangiare di cuochi come Bottura e Adrià, per dire, s'incrocia con l'estetica relazionale di cui parla Nicolas Bourriaud a proposito di arte contemporanea (vedi il lavoro di Rirkrit Tiravanjia, solito cucinare nelle gallerie d'arte offrendo poi il cibo ai partecipanti).
Sentire Bottura che parla di relazioni tra spazio, tempo e movimento a proposito di Lucio Fontana e della propria idea di cucina, sentirlo citare Joseph Beuys, vederlo all'opera e fruire dei suoi piatti (opere?) fa balzare all'occhio come il suo processo creativo, il suo linguaggio, siano molto simili a quelli dell'arte contemporanea.
Vedere Bottura che cucina Tutte le Lingue del Mondo, piatto a base di lingua di vitello, è assistere a un processo creativo che ricorda quelli di alcuni scultori contemporanei che usano la materia con grande consapevolezza concettuale e manuale.
La cucina creativa è sempre più spinta in avanti. Anzi, ciò che un tempo (anni 60-70) è stata l'arte contemporanea, e in seguito (anni '90), la moda e per certi aspetti la finanza, cioè gli ambiti più "avanti" a livello di creatività, è oggi rappresentato dalla cucina creativa, che incarna lo zeitgeist odierno.
Ferran Adrià nel 2007 è stato invitato a Documenta (12esima edizione), una delle più importanti rassegne periodiche mondiali dell'arte contemporanea, che si tiene ogni 5 anni a Kassel, in Germania. Non è solo un cuoco, la sua è una pratica artistica, hanno detto i curatori.
Adrià, intervistato da Flash Art, dice: devo partire dalla constatazione che la cucina d’avanguardia ha origine dal bisogno di nutrirsi. Questa è la grossa differenza rispetto alle altre pratiche artistiche. Sarebbe meraviglioso vivere su un pianeta dove mangiare fosse solo un fatto puramente emozionale.
Forse il cibo visto in prospettiva artistica incute timore reverenziale, lontananza e astrazione, forse si tratta di fughe in avanti troppo autoreferenziali. Forse. Credo invece che ci si trovi davanti semplicemente a un nuovo scenario, a nuove possibilità, a un nuovo affascinante punto di vista per interpretare l'esistente.

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