sabato 19 dicembre 2009

network.


La tre giorni toscana di Vignerons d'Europe si è idealmente conclusa con la lettura del Manifesto per la Viticoltura Sostenibile redatto da parte dei circa 500 vignaioli presenti. Purtroppo ho potuto partecipare soltanto alla prima, introduttiva giornata di sabato dove sono stati gettati sul tavolo gli ingredienti sviluppati ed elaborati domenica, quindi l'impressione è stata di andar via esattamente sul più bello, prima delle portate principali, lasciandomi l'energia e l'entusiasmo che immaginavo di assorbire e...tanta fame sotto forma di riflessioni e punti interrogativi, tantissimi input, sulla viticoltura sostenibile (argomento centrale dell'evento), ma non solo.

Gli stessi elementi credo fossero annidati anche nella testa dei produttori e vignaioli piacentini che hanno partecipato sabato e domenica ai lavori e che vorranno intervenire su questo blog, magari lanciando idee, risposte e proposte.
La sostenibilità è un'ovvietà. Un obbligo. Oggi è anche (purtroppo?) una moda, soprattutto la parola “sostenibilità” la è diventata, le pratiche realmente sostenibili un po' meno. Sostenibilità è difendere la piccola produzione agricola. L'ambiente, l'energia, i suoli. E poi c'è la sostenibilità economica (il governo del limite di cui parla Petrini).

E poi, sì, la sostenibilità è, dovrebbe essere, un obbligo, anche un'ovvietà, ma nel senso che dovrebbe essere ovvio farla, sono meno ovvi i significati di sostenibilità, o meglio c'è poca chiarezza su cosa sia la sostenibilità, ogni produttore la pensa un po' a modo suo. Diciamo che ognuno pensa di avere e fare la propria, di sostenibilità. Si è sostenibili solo usando le anfore di terracotta in cantina o lo si è anche se si ricorre a moderne tecnologie di cantina? Esistono tecnologie moderne sostenibili? La sostenibilità è inconciliabile con la tecnologia? E la sostenibilità economica della piccola azienda? Sono sostenibile anche se in annate dove le uve sono poco sane, in vigna uso prodotti di sintesi altrimenti tutta la produzione va a farsi benedire e la mia azienda non mi permette di sopravvivere economicamente? E l'Etica? La Morale? Insomma, il tutto è molto complesso e ricco di zone “grigie”, di sfumature.
A Montecatini c'è stato un grande scambio di idee tra vignaioli, il network per la sostenibilità (oltre al fatto di cercare di far capire che il vicino di casa non è un concorrente, ma un collaboratore) può generare tanto: ad esempio far capire quanto sia importante ritrovare la fertilità dei suoli; dare supporto ai paesaggi culturali (un concetto ancora poco conosciuto) con ricadute sulla promozione turistica; ritrovare le identità perdute, le unicità degli aspetti naturali e culturali di un territorio; trovare soluzioni per affrontare il rullo compressore giuridico (in questo e in tanto altro la FIVI, la Federazione dei Vignaioli Indipendenti – indipendenti dalle altre politiche di sviluppo, senza padroni, né colori politici – può fare molto); il dubbio che possa non contare più di tanto avere, e pagare, una certificazione BIO, quanto a volte un'autocertificazione.

5 commenti:

vit ha detto...

Pubblico (in due tranches...per motivi tecnici) un intervento di Emanuel Piacentini, che era presente a Montecatini

Etica :
1.     parte della filosofia che studia i problemi e i valori connessi all’agire umano….
2.     insieme delle norme di condotta pubblica e privata seguite da una persona o da un gruppo di persone……
 (Definizione di etica riportata nello Zingarelli.)
Ripensare all’esperienza di VIGNAIOLI & VIGNERONS a Montecatini terme è un continuo fluire di pensieri ed emozioni ai quali provo dare una forma.
La prima cosa che mi viene in mente è il pensiero, o meglio l’auspicio, di un produttore che ha scritto sul tuo blog, di poter vedere un giorno premiato, dalle guide, anche un gutturnio frizzante. Ho tentato più volte di capire il motivo per cui ciò non avveniva, o non è ancora avvenuto. Conferma alle mie supposizioni sono arrivate dai pensieri dei colleghi “vignerons” presenti a Montecatini. Mi hanno fortemente colpito le parole di un giovane produttore che diceva che l’etica del vignaiolo (tema dell’incontro del mattino :” Identità ed etica del vignaiolo”) non può prescindere dal suo territorio; deve risalire alla storia del suo territorio, quale vino si produceva,il perché di quel vino. Ed è questo che secondo me manca a Piacenza, una conoscenza approfondita del nostro territorio. Ognuno di noi produce il Gutturnio, così come gli altri vini,  pensando di darne la giusta interpretazione: secco, abboccato, dolce, più o meno frizzante; oppure lo facciamo fermo, con passaggio in legno( piccolo-grande?) oppure no, senza mai approfondire realmente cosa sia il gutturnio. Ancora oggi cerchiamo di dargli, con la revisione del disciplinare, una forma, una immagine distorta : frizzante, fermo, fermo superiore: ma cosa significa!!! Oggi più che mai, proprio per una questione etica, anche nei confronti del consumatore,se vogliamo considerarlo un nostro co-produttore, c’è bisogno di chiarezza, c’è la necessità di “…dire quello che facciamo e fare quello che diciamo”. Forse dobbiamo fermarci un momento, chiederci cosa stiamo facendo, anche perché oggi siamo in forte accelerazione, siamo di fretta e non riusciamo comprendere quali possano essere le conseguenze :dobbiamo farci interpreti di ciò che i nostri vecchi avevano letto nel territorio: le esposizioni, le altitudini ottimali per le varie colture, la regimazione delle acque e così via. Solo così penso si possa dare una vera identità al territorio e ai prodotti in esso presenti. Penso anche agli impianti che sono stati fatti negli ultimi anni: ritengo che siano stati importati da zone con caratteristiche pedoclimatiche che niente hanno a che fare con noi. Abbiamo ristretto fortemente le distanze sulla fila(80-90 cm) per mettere in competizione tra di loro le viti al fine di ottenere qualità e così via , dimenticando la “forza” che hanno i nostri terreni; ed allora ci troviamo con vegetazioni molto abbondanti, produzioni abbondanti e allora andiamo a diradare perché altrimenti non raggiungiamo la  maturità completa delle uve, con forti aggravi economici, peraltro! Se forse cercassimo un equilibrio più naturale , spontaneo, aumentando magari le distanze sulla fila o anche tra le file( nei casi più estremi), forse otterremmo gli stessi risultati.

vit ha detto...

Ritorno ancora un momento sul gutturnio :negli ultimi anni la croatina si è sostituita alla bonarda che era presente sul territorio. Parlando con le persone più anziane ho scoperto che aveva caratteristiche molto diverse da come si presenta oggi e il vino di conseguenza. Anche qui , se ci fermiamo un attimo forse riusciamo a dare una identità molto più solida al nostro territorio. Proprio oggi leggevo da una mail il manifesto che è stato redatto al termine dei due giorni di Montecatini: lo condivido appieno ad eccezione del punto dove si precisa che il vignaiolo si impegna a rinunciare all’utilizzo di molecole e organismi artificiali e di sintesi con l’obiettivo di tutelare il vivente. Questo, non perché, non ritenga sacrosanta la tutela del vivente, anzi!!!, ma perché  dipende molto dall’uso che se ne fa di quelle molecole: vorrebbe quasi dire condannare, a prescindere, le scoperte che sono state fatte in campo medico per la cura di certe malattie che prima portavano alla morte; dipende molto dall'uso o ABUSO che se ne fa. E si potrebbe continuare all’infinito, ma penso che sia il caso che mi fermi perché penso di essermi dilungato anche troppo. Con l’approssimarsi delle festività natalizie, non mi rimane di augurare a tutti un sereno Natale e un 2010 felice.
Ciao e buon lavoro a tutti
Emanuel Piacentini

vit ha detto...

Posto qui sotto l'intervento di Stefano Pizzamiglio (che aveva partecipato anche alla prima edizione di Vigneron, a Montpellier) su Montecatini. Ho dovuto spezzare l'intervento in più parti per questioni di lunghezza. Buona lettura!

A mio parere Vignerons d’Europe 2009 è stata interessante e positiva. Avevo partecipato all’edizione di Montpellier due anni fa, e quest’ultima edizione mi è sembrata senz’altro un passo avanti nell’identificazione di ciò che si intende per vigneron di territorio, pur nella pluralità di voci, anche sensibilmente diverse tra loro, che si sono rivelate nel corso dei vari seminari. A questo proposito, è stato davvero intelligente e mosso da equilibrio e senso di responsabilità il lavoro di coordinamento operato da Slow Food. Confesso che la mia paura, all’inizio del meeting, un po’ per conoscenza delle varie tendenze in campo un po’ per ‘antica’ (giovanile) esperienza nel campo politico, era che potessero farsi sentire più alte e dunque apparentemente maggioritarie le voci più estreme, quelle (a parlare è l’esperienza di una persona che nel periodo 1975-1977 frequentava un liceo milanese) destinate a far naufragare in un mare di confuso e a volte poco serio velleitarismo tutte le migliori e più pure intenzioni. Alla fine della giornata di domenica, e in seguito leggendo il documento votato lunedì, devo dire che questa paura si è quasi del tutto dissolta.
Non ho citato un’altra possibile paura, quella dell’annacquamento del concetto di sostenibilità, perché di quest’ultima paradossalmente ne nutrivo poca, immaginando, cosa che si è avverata, che chi poteva avere interessi in tal senso non si sarebbe certo avvicinato a una manifestazione del genere e che l’idea di sostenibilità fosse nel cuore di tutti i partecipanti.
Sulla scorta di quanto ora detto, nei due interventi che ho fatto nel corso dei seminari, ho posto l’accento non tanto sul cuore pulsante del tema del meeting, perché questo era già stato fatto con molta efficacia da altri colleghi che avevano già parlato, quanto sulle sfaccettature del tema sostenibilità, in particolare sull’aspetto economico di essa e, indirettamente, sull’aspetto relativo alla qualità dei vini. Temi, peraltro, da come mi è stato detto affrontati in alcuni interventi della giornata introduttiva di sabato.
Mio padre mi ha insegnato che un’idea e una battaglia, quanto più sono buone e nobili, necessitano da parte di chi le propugna e le conduce non tanto di parole e autocompiacimenti ma di semplice e serio lavoro per poter essere realizzate, lavorando sugli aspetti pratici del tema in modo da poter far diventare l’idea atto, renderla operativa e dotarla di radici profonde. Così, per me, viticoltura sostenibile significa viticoltura che sia sostenibile a 360 gradi, cioè sostenibile per l’ambiente ma anche per l’economia umana: e ciò non per annacquanrne il significato, ma per renderlo più vero, più operativo e realizzabile.
Faccio un esempio immediato: l’annata 2008. La cito perché penso sempre che per rendere reali le grandi idee occorra porre la propria attenzione sui momenti critici che a volte occorrono, non sulla facile routine, e anche perché la considero un’annata spartiacque. Sappiamo benissimo, senza infingimenti, che in quella vendemmia chi si è attenuto agli usuali protocolli della viticoltura biologica ha visto la sua produzione d’uva decurtata non poco, in molti casi anche del cinquanta per cento e più; c’è stato anche chi, dimenticando per un anno il biologico e acquistando con semplice scontrino prodotti anticrittogamici non in linea coi disciplinari bio, ha salvato la maggior parte del suo raccolto. Sicuramente quest’ultima scelta non è condivisibile, però credo che il problema esiste.

vit ha detto...

Quando ho parlato di questo nel corso di un seminario, mi è stato obiettato che la sicurezza (di salvare la propria uva dalle avversità) in natura non esiste: è verissimo, ma la sicurezza è come la perfezione, non esiste ma si può (e secondo me si deve) tendere ad essa il più possibile. Ho anche sentito dire che le malattie sono naturali, però, al di là del fatto che anche noi, se malati, cerchiamo sempre di curarci e non subiamo febbri o quant’altro perché ‘naturali’, penso che questo discorso faccia a pugni con la gestione economica di un’azienda, magari gravata da mutui ed esposizioni finanziarie: ci sono viticoltori che possono permettersi di produrre pochissima uva un anno, altri che invece farebbero molta fatica a sopportarlo economicamente, e penso che questi casi vadano rispettati e considerati. Nel nome della sostenibilità.
Sotto questo profilo, condivido in parte l’osservazione di Emanuel sul punto 6 del Manifesto di Vignerons d’Europe 2009: “il vignaiolo si impegna a rinunciare all’utilizzo di molecole e organismi artificiali e di sintesi con l’obiettivo di tutelare il vivente”. In effetti il più delle volte i problemi non nascono dagli strumenti in sé, ma dall’uso che se ne fa. Io però quel punto lo prendo come uno stimolo a fare e migliorare. Sempre avendo ben presente la vendemmia 2008, e quindi l’impegno, nel nome della sostenibilità, ad accrescere il proprio bagaglio di conoscenze di viticoltore (evidentemente non ancora sufficiente visto ciò che è successo in quell’anno, lo sottolineo ancora), credo che ci sia tutto un mondo di principi naturali efficaci contro le malattie della vite ancora da scoprire. Da affiancare, naturalmente, alla cura del benessere e dell’equilibrio della pianta, la cui prima fonte, come faceva giustamente notare Saverio Petrilli nel seminario della mattina, è il ripristino della fertilità del terreno, dell’humus.
Il sottoscritto da otto anni in cantina e da cinque in vigneto, in presenza di attacchi di marciume interviene sul vino senza aumentare di un grammo le dosi di anidride solforosa (sui rossi, non usandone affatto in vinificazione, anche in questi casi) ma usando naturalissimi e privi di modificazioni organolettiche tannini di castagno, e sull’uva spruzzando gli stessi tannini sui grappoli, evitando così l’uso di antibotritici di sintesi e intervenendo anche pochi giorni prima della vendemmia. Ma sono convinto che anche contro la Peronospora, per fare un esempio, si possano trovare principi naturali più efficaci del solfato di rame o elementi naturali sin qui usati. Probabilmente c’è tutta una grande ‘erboristeria’ da scoprire. Ma per fare questo occorre sviluppare molto di più di quanto lo si faccia adesso una grande ricerca in questo campo, come ho sostenuto in entrambi i miei interventi nei seminari. Una ricerca che non sia condizionata, però, dalle grandi industrie, che sia il più possibile libera. E’ capitato, in passato, che ricerche che avevano portato alla scoperta di principi attivi naturali (meno remunerativi per chi li produce di quelli di sintesi) che pareva avessero buone probabilità di efficacia nei confronti ad esempio della Peronospora, ricerche promosse e finanziate da gruppi industriali, chissà perché venissero interrotte.
Mi rendo conto che ciò può essere utopico o comunque difficile da realizzare, ma ricerche più libere potrebbero essere finanziate da noi stessi viticoltori, autotassandoci, magari non sottraendo soldi ai nostri già non floridi bilanci, ma utilizzando il denaro che sarebbe destinato a poco utili certificazioni o ad altre pratiche burocratiche. E’ una cosa difficile da fare, lo so, specie in un paese come il nostro, ma credo che il tema della ricerca sia fondamentale per contribuire a rendere il più possibile attuabile la sostenibilità.

vit ha detto...

E un altro aspetto di quest’ultima è, come accennavo già prima, l’impegno a non dimenticare la ricerca della qualità in nome del rispetto per l’ambiente e il territorio: non dimentichiamoci mai che oltre a custodi dell’integrità della natura siamo anche e non poco produttori di vino. Produrlo dotato di carattere ed eleganza, dall’aroma ricco e pulito e dalla bocca concentrata ed equilibrata, che rispecchi la personalità del proprio territorio in perenne naturale mediazione con l’anima dell’uomo che ne fa da nutrice, è un’altra faccia del prisma Sostenibilità, sua espressione e nello stesso tempo uno degli strumenti per poterla realizzare.
Riguardo alle riflessioni di Emanuel sul Gutturnio e sul territorio piacentino, non entro nel merito avendo già tanto scritto in questo mio post, ma credo siano interessanti e mostrino come questo tema sia complesso e ricco di sfaccettature. Come il tema della Sostenibilità,
che vista la sua urgenza e la sua importanza, mi ripeto, non richiede certo disinteresse o, all’opposto, approcci ‘di pancia’, ma spirito riflessivo e tanta serietà.

Stefano Pizzamiglio