mercoledì 13 ottobre 2010

sì, vabè, ma dio esiste?


Allora, dicevo, mi diverte leggere le Guide, mi è utile come consigli per gli acquisti e poi mi incuriosisce vedere come sono visti e “fotografati” i Colli Piacentini. Quest'anno finalmente all'unanimità la critica ha esaltato i nostri vini dolci da uve appassite. Tre vini che chi legge questo blog conosce bene: il Vin Santo di Barattieri, il Vin Santo di Vigoleno di Lusignani e il Malvasia Passito del Negrese (a dire il vero premiato da una sola Guida, l'Espresso, ma che è arrivato vicino a una segnalazione importante anche su Slowine). Bene. Secondo me è giusto così. Dove Piacenza dà il meglio è nella categoria dei vini dolci da appassimento.
Sul resto della produzione ci sono punti di vista diversi. Ad esempio su vini come Macchiona e Luna Selavatica le Guide si dividono o quasi. La Macchiona è menzionata da Slowine, nemmeno nominata dall'Espresso, premiata (per il secondo anno consecutivo) dal Gambero Rosso. Il Luna Selvatica è stato segnalato come “grande vino” da Slowine e menzionato con punteggi buoni, ma tutto sommato anonimi, dalle altre due Guide.
Allora di chi fidarsi?
Ma poi ha ancora senso parlar di Guide? E ha senso farle? Serve il lavoro che facciamo? Chi siamo? Dove andiamo? Dio esiste? Che cosa vuol dire esistere? Son domande retoriche? Perchè quest'angoscia che imprigiona l'uomo nel vivere il suo esistere come una finta libertà, basata sul nulla? L'esistenzialismo vi fa venire il mal di testa? Allora, come vorreste che fosse fatta una Guida dei vini?

Lo so, le domande son trite e ritrite e se le son già fatte tutti i siti e i blog che parlano di vino, però, insomma, le volevo fare anch'io.
E poi, con la situazione di depressione economica del vino italiano, serve concentrare tutte le proprie attenzioni sui premiati di ogni Guida, perdendo di vista il contesto complesso che stiamo vivendo?
Come un giovane virgulto della vitivinicoltura nord occidentale mi suggerisce, ci rendiamo conto della differenza tra il vino REALE e il vino VIRTUALE (lui, il giovane virgulto, si occupa di quello VIRTUALE, per dire)? La cosa che fa capire la differenza tra reale e virtuale, dice lui, il giovane virgulto, è che, soprattutto sul rosso, parlando di vino, i parametri per il giudizio del prodotto non hanno niente a che fare con certi parametri. Cioè, spiegandosi meglio, dice: se sei nel mondo della vendita dello sfuso, avere 500 Hl di un grande vino, secondo i “nostri” parametri, potrebbe essere un problema. Se si dice "ho tot Hl di vino buono" si intende un vino non troppo alcolico, pulito, fresco e un po', ma non troppo, fruttato. Non si intende assolutamente un vino che somiglia a Vegasicilia, per dire.
E allora noi di cosa stiamo parlando?
Qual è il vino buono? Quello che si vende? A chi? Quello caro?
Il giovane virgulto poi mi/ci chiede:
Sa che le uve rosse hanno una previsione di prezzo di 25 €/quintale?
Quintale! Con un quintale di uva si fanno 100 bottiglie! Sa che i miei colleghi di Franciacorta scendono per la prima volta dopo anni sotto l'euro al Kilo di prezzo uva da spumante e si lamentano perchè dicono che a quei prezzi si lavora in perdita? Se lei ad oggi avesse una vasca di vino rosso non buono e non troppo cattivo, questa avrebbe un valore di mercato di circa 0,30 - 0,40/litro. Peccato che sarebbe invendibile. Le cantine sono piene. Tutto saturo e nessuno ritira. Il suo vino varrebbe zero. E zero è poco.
Poi prosegue: non vorrei che si credesse che IL vino è solo quello, oggi mediamente buono, delle piccole cantine che fanno qualità. Altra cosa: faccia ogni tanto qualche link al sito "i numeri del vino". Ci sono cose molto interessanti.
Ci siamo creati noi un mondo che non esiste? Meglio, che esiste solo nella nostra testa?
Uffa, esco a fare due passi.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Buongiorno
Ringraziamo il buon Vittorio per aver ritrovato queste preziose pergamene ed averle tradotte per noi dall'armeno arcaico, cosa che giustifica la difficoltà del periodare e il fatto che si riesca a trovare un senso a quanto scritto solo alla quinta rilettura.
La critica che avevo proposto sulla differenza tra vino reale e vino virtuale non è una critica alle guide, che hanno tutto il diritto di giudicare solo i vini che reputano, è una critica a chi fa finta che questa differenza non esista. Bisogna sapere qual è il vino che si vende e come si muove il mercato. Per poi decidere di fare tutto l'opposto, magari. Ma non facciamo finta di essere noi il mondo del vino. Fate due conti, in euro e guardate quant'è il mercato del vino "virtuale" a piacenza nei confronti del "reale".
E la tendenza continua imperterrita. Esser contenti che Piacenza venga finalmente riconosciuta come grande zona per i vini dolci da appassimento vuol dire esser contenti di esser relegati nella nicchia della nicchia del mercato. Già in guida vanno i vini virtuali, e noi di quei vini occupiamo la parte più virtuale: i vini dolci. Bene.
E' proprio vero quanto dice il blog dell'espresso postato da Vittorio: le guide sono un mediocre sistema per giudicare i vini, ma il migliore che noi conosciamo.
Lucio Salamini

"E Il Paradiso? Esiste un paradiso?"
"Credo di si, signora, ma i vini dolci non li vuol più nessuno"
Xenia II,8
Eugenio Montale

vit ha detto...

Ah, dunque era Lei il giovane virgulto. Bentornato nel mondo virtuale.
Concordo, concordo. Eh sì, concordo.
Intanto che ci siamo però, visto che ne facciamo consapevolmente parte e li alimentiamo ancor più consapevolmente, viviamoli questi controsensi, questi paradossi.
Viviamoli, oppure usciamone.
Cerchiamo di esser contenti, per un pò almeno, del fatto che esca uno specchio credo veritiero del mondo virtuale, della condizione di più virtuali tra i virtuali, di più bravi tra i virtuali.

Anonimo ha detto...

Concordo.
Tralasciamo il discorso guide che ormai annoia.
Torniamo però a parlare di questa differenza tra virtuale e reale. Mi interesserebbe l'intervento di qualche collega.
Stiamo forgiando il futuro o siamo solo supponenti poeti in un mondo di commercianti che lavorano e che vivono il vino veramente?
O il commerciante è un poeta?
Dite, dite.
Lucio Salamini

vit ha detto...

Sì, ecco. Parliamo di fantascienza che mi piace di più.
Pizzamiglio!! Lo so che sei lì, emergi a noi. E mi raccomando la sintesi, eh.

vit ha detto...

Evocato, è infine emerso Stefano Pizzamiglio, ecco il suo contributo (spezzato in due per motivi di lunghezza):

Eccomi qua!
Chiamato in causa, intervengo e mi scuso subito perché forse potrò sembrare stucchevole, ma concordo anch’io con quanto avete scritto.
Spesso chi per vocazione e per passione si occupa di poesia del vino si dimentica che, svolgendo il suo lavoro, non sta correndo in infiniti spazi aperti, ma sta gironzolando su in isola circondata dal mare della prosa del vino. Che non è necessariamente un mare inquinato, infido e da evitare. Solo, è un ambiente diverso, che però è bene mai snobbare, perché riconoscerlo e conoscerlo può incrementare lo spessore del tuo lavoro, può alimentare la mai-così-tanto-riconosciuta-come-preziosa-e-fondamentale umiltà, può anche, perché no?, darti degli stimoli.
Il vino virtuale di cui ci occupiamo noi per la verità è reale anche lui, esiste, solo però, come scriveva Lucio, in una dimensione di nicchia. Non credo che i veri poeti siano i commercianti del vino di massa, credo semplicemente che esistano ambiti diversi, che semplicemente ognuno fa il suo lavoro e che se svolto con professionalità e coscienza abbia pari dignità il suddetto lavoro in ciascuno degli ambiti di cui stiamo parlando.
E percepire la realtà e la dignità dello spazio enorme e differente che sta attorno alla nostra nicchia, cercare di conoscerlo e comprenderlo, non è un puro esercizio di umiltà, ma serve, serve eccome. Innanzitutto credo che la succitata nicchia, nel vino del presente e ancor di più in quello del futuro, sia sempre più scricchiolante, che molte cose tendano a mescolarsi, che alcuni crossing over tra i due ambiti stiano già avvenendo e in futuro avverranno sempre più. E se questi scambi vengono condotti con onestà intellettuale, non vedo niente di male nel fatto che avvengano: un vino smitizzato non può che far bene.
Ritornando al “serve”, credo che dovrebbe servire innanzitutto a noi produttori: perchè non smettiamo mai di avere i piedi per terra, perchè chi è ancora giovane del mestiere non parta già col piede sbagliato, illudendosi che siano possibili crescite rapidissime e a un chilometro da terra o seguendo frettolosamente, come stelle polari, teoremi filosofici o afferenti ad un superficiale naturalismo, naufragando magari di fronte alle realtà del consumo, anche di quello di nicchia.
Serve, credo, alla critica, proprio per non alimentare le false convinzioni che alcuni produttori potrebbero farsi, e per non rimanere alla fine, all’improvviso e quasi senza accorgersene, sganciati da quello che è il suo mercato, quello dei lettori.
Serve agli operatori commerciali del settore vino, ai ristoratori, la maggior parte dei quali, in verità, soprattutto avendo davanti agli occhi ogni giorno la quantità (sempre più scarsa) e le tipologie di vino (sempre più ‘basiche’) che ancora riescono a vendere, di questo si sono spessissimo già resi conto, o perlomeno, più semplicemente, seguono quella che è la tendenza del momento.
Però, credo anche che uno zoccolo duro di persone che il vino reale non lo percepiranno mai rimarrà sempre: non perché non lo vedano, ma perché non lo vogliono vedere, perché il loro essere e permanere nel mondo del vino è legato in parte alla virtualità di una porzione di esso, con la percezione di appartenere ad una sparuta schiera di eletti che, solo loro, un certo tipo di vino capiscono e apprezzano. Ma questo è sempre avvenuto e avviene in tutti i campi.

vit ha detto...

Penso, infine, che, posto che una nicchia ha comunque ragione di esistere, comunque non deve mai sempre e solo autoalimentarsi, deve talvolta rompere gli argini, ed assumere coscienza di ciò che sta fuori di essa e anche ricevere, nonché donare influenze. Per toccare il tasto filosofico caro al primo post di Vittorio, noi crediamo erroneamente di essere ‘finiti’, separati dal mondo circostante: in realtà siamo ‘infiniti’, siamo una parte del tutto quindi contemporaneamente siamo anche il tutto. Se io concepisco il vino in un modo, non posso considerare questo il solo modo possibile o migliore. E percepire la realtà in questo modo, come ho già scritto, è utile innanzitutto al mio tipo di percezione, alla mia filosofia di vita e di lavoro, per poterla sempre più perfezionare e per garantirle un futuro: reale, non virtuale.

Stefano Pizzamiglio