giovedì 1 ottobre 2009

trebicchieri 2010.



Vabbè dai, anche se non è ufficiale, ormai si sa da tempo che anche quest’anno alcuni vini piacentini (due) hanno ottenuto gli ambiti “trebicchieri” della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso. E allora parliamone. Intanto, sì, la Guida da ora è solo del Gambero Rosso, dopo il divorzio da SlowFood (che in attesa di dar vita alla nuova Guida prevista per l’anno prossimo, nel complesso e ambizioso progetto di rilancio delle proprie attività vinose ha inaugurato www.slowine.it). Dunque le commissioni di degustazione sono cambiate in alcune regioni, come l’Emilia Romagna, dove il nuovo responsabile è Giorgio Melandri, che già faceva parte della precedente commissione. Via Fabio Giavedoni (il precedente responsabile regionale), via Massimo Volpari, via il sottoscritto, via altri. Che qualcosa sia cambiato lo si nota dai due vini premiati, da uno in particolare.

Non tanto il Vin Santo ‘99 di Barattieri (al terzo “trebicchieri”), che purtroppo non ho ancora avuto la fortuna di assaggiare e che peraltro pare abbia vinto meritatamente il premio di Vino Dolce dell’Anno in precedenza già sfiorato, quanto la Macchiona 2005 della Stoppa, un classico dei Colli Piacentini, a base barbera-croatina (dunque il primo “Gutturnio”, volendo, ad ottenere il premio) che dalla precedente commissione era sempre stato penalizzato. “Solo” in finale invece un vino che avrebbe meritato i “trebicchieri”, ovvero il Malvasia Passito 07 del Negrese. Comunque. Dopo aver segnalato l’ennesimo successo del Vin Santo di Barattieri, due parole sul premio alla Macchiona. Fa piacere per l’azienda, per la serietà e il coraggio che Elena e Giulio mostrano di continuo, non so se possa invece oggi la Macchiona rappresentare al meglio ciò che i Colli Piacentini sono in grado di esprimere con la barbera e la croatina. Perché premiare un vino dove il territorio viene in parte soffocato da puzze e riduzioni? Deve essere per forza questo il nostro biglietto da visita? E’ questa la strada da seguire per i produttori locali? Si può essere puliti e giusti anche senza difetti enologici evidenti, cioè facendo vini buoni. Perché non premiare allora un Gutturnio frizzante (quest’anno la Guida ha peraltro definitivamente sdoganato il Lambrusco con due “trebicchieri”) come portabandiera piacentino?

21 commenti:

Unknown ha detto...

caro vittorio, due parole sul guturnio. Intanto sarebbe bello potere premiare un gutturnio frizzante, ma come abbiamo avuto modo di discutere non sono arrivati alle degustazioni vini che potessero ambire ad una una finale. Peccato... Riguardo alla Macchiona io la penso un po' diversamente. La Macchiona 2005 non è un vino che ha puzze o difetti, è sicuramente un vino che chiede un'oretta d'aria per distendersi ed esprimersi ed è un vino che ha una bocca purissima, affilata e tagliente, minerale e vibrante. Diciamo che è in pratica l'unica bocca piacentina con queste caratteristiche. So che alcuni produttori disacidificano le bocche o intervengono con vitigni internazionali per smussare la freschezza. Secondo me semplicemente interferiscono con il carattere del territorio e ottengono un risultato con poca personalità. Questa è la secondo me la giusta chiave di lettura del premio alla macchiona, il riconoscimento di personalità del territorio. Sarebbe bello un giorno confrontare su questo blog diversi vini di territorio perché questa è l'unica strada possibile per la zona. Il lavoro di chi propone vini "fuori mercato", che poi guarda caso hanno molto più mercato degli altri, viene spesso visto come naif, ma invece io credo che sia una strada moderna e sempre più interessante. Spero che intervengano apertamente anche i produttori... schieratevi ragazzi! e parlate apertamente. Io l'ho fatto.

vit ha detto...

ciao vittorio,
ho letto quello che hai scritto sul tuo blog, giorgio mi ha girato la sua risposta, ho risposto ma non so se sono stata capace di inserire il commento, nel caso non ci fossi riuscita lo trovi qui sotto, a presto
elena

Caro Vittorio,
mi chiami in causa e ti rispondo sul blog, anche se avrei preferito una chiacchierata tra noi.
Mi dispiace leggerti così, sembra che ti dispiaccia che un vino piacentino abbia ottenuto i tre bicchieri, a prescindere dal fatto che piaccia o meno a te, è comunque un bel risultato per la zona,di cui tutti i produttori e tutti coloro che hanno a cuore la propria terra dovrebbero esserne felici e orgogliosi, anche se non è il proprio vino e anche se non lo si condivide.
Io la penso così, un successo quale è il vin santo di Barattieri qualificato miglior vino dolce italiano è un evento insperato fino a qualche anno fa, mi riempie di orgoglio e mi stimola a fare sempre meglio.
Per quanto riguarda la Macchiona, parlare di difetti enologici evidenti non va bene, accenni alla serietà mia e di giulio e cosa pensi, che prima di tutto noi metteremmo in commercio un vino difettoso?
Pensi che Giulio, alla sua trentesima vendemmia qui a La Stoppa sia improvvisamente impazzito e abbia dimenticato come si fa a fare il vino? Allora è più corretto parlare di stili, di interpretazione del territorio, di personalità e su questo piano si può intavolare una discussione, sul tuo blog, se ce ne darai la possibilità o meglio ancora incontrandoci tra noi, produttori e critici, conoscitori delle potenzialità del nostro territorio.
E riguardo a questo, un'ultima considerazione sul tuo rammarico che nessun Gutturnio frizzante sia stato premiato come portabandiera piacentino, ma siamo proprio sicuri che questo sia il meglio che Piacenza possa esprimere? Una viticoltura di collina, con rese ben più basse rispetto al lambrusco, con terreni così diversi tra loro, con una tradizione, sebbene pochi, di vini da lungo invecchiamento, dobbiamo davvero puntare tutto su un vino che mediamente viene venduto a € 2/3 la bottiglia?
E allora ben vengano i tre bicchieri al vin santo e alla macchiona, e un plauso a chi, quest'anno, a differenza degli anni scorsi, ha avuto il coraggio di portarlo in finale, metterlo a confronto con i migliori vini rossi italiani e ce l'ha fatta!!

vit ha detto...

Cari Giorgio ed Elena, intanto grazie per le tempestive risposte che spero innescheranno interventi anche da altri produttori. Sarebbe bello se, anziché borbottare, chi ha commentato a voce (positivamente o negativamente) i trebicchieri di quest’anno dicesse la propria su questo blog. In attesa magari di in un incontro collettivo (alla Stoppa?) dove tutti potranno parlare apertamente.
Inizio rispondendo a Giorgio sul carattere della Macchiona, che conosco come vino vivo, tonico, affilato e tagliente. Grintoso. Ed è quello che mi aspettavo al momento dell’assaggio, durante il quale ho invece avuto l’impressione di un vino più rotondo e morbido del solito e dove non ho quindi ritrovato la consueta grinta che credo rimanga il lato più bello di questo vino. In sostanza: puzza? Va bene, cerchiamo di andare oltre, ok, quest’anno però oltre non ho ritrovato elementi che mi facessero valutare più positivamente la bottiglia. Non escludendo che si sia potuto trattare di una bottiglia non a posto, ne riassaggerò un’altra al più presto, credo sia doveroso.
Giulio non ha dimenticato come si fa il vino, sa benissimo come si fa, e la scelta sua e tua di fare il vino in questo modo è difficile e coraggiosa, soprattutto consapevole. Quest’ultima è la cosa più importante. Mi vengono in mente certi pittori che si dedicano all’astrazione o a un tipo di pittura “naif”, “brut”, non perché non sappiano dipingere, anzi, ma perché vogliono spingere la propria ricerca oltre la figurazione. Tornando al vino, penso che però a volte certe imprecisioni rischino di omologare e standardizzare ciò che un territorio produce, ovvero l’esatto contrario dell’obiettivo di partenza.

alfredo ha detto...

Sembra proprio vero che a Piacenza non si riesca a fare squadra,tanto è che il successo e la valorizzazione di alcuni vengono in qualche modo messi in discussione a prescindere e si insiste a non comprendere i meriti e i grandi vantaggi che questi riconoscimenti comportano.E' un peccato e forse per alcuni un'ennesima occasione persa di creare un immagine e un messaggio condiviso da portare fuori.Detto ciò è evidente che al sottoscritto piace ed appassiona il modello"Stoppa"portato avanti da Elena e Giulio, riconosce nel loro lavoro il territorio e l'onestà nel fare che risponde più a un rigore e una ricerca personale che agli svolazzi del mercato. A mio avviso in questo modo esce un vino mai banale ricco di temperamento e personalità che può anche non piacere ma che una volta aperto non rimane mai nella bottiglia.

vit ha detto...

Caro Alfredo, è vero, a Piacenza non si riesce e non si vuole fare squadra. Purtroppo. E questo accade anche perché si ha paura di discutere e così ci si limita a borbottare tra amici. L’immagine e i messaggi condivisi si raggiungono spesso discutendo, anche aspramente se è il caso. Mettere in discussione credo possa fare solo bene. Solo così si potrà, spero, valorizzare le potenzialità del territorio.

vit ha detto...

Posto qui sotto un intervento di Stefano Pizzamiglio (chiedo scusa a Stefano, ma il testo è troppo lungo-non viene accettato-e ho dovuto spezzettarlo)

stefano 1

Caro Giorgio,
ti rispondo un po’ più tardi di quando avrei voluto (scalpito da tre giorni), a causa dell’ancora intenso lavoro nella mia cantina.
Se da ventidue anni, tacciato nei primi tempi di eresia, pratico il diradamento dei grappoli per concentrare in essi la maggior quantità di sostanze contenute nel nostro terreno ed elaborate dalle foglie delle nostre viti, se pratico defogliazioni con modalità diverse a seconda dei diversi vitigni per meglio esprimere le caratteristiche essenziali di ognuno di essi, se opero cimature rigorosamente manuali (pur avendo le macchine apposite ma non usandole più da anni) per permettere alle ferite da taglio di meglio cicatrizzarsi e limitare l’esposizione della pianta ad agenti patogeni di origine fungina che potrebbero limitare l’espressione del terroir, se con Augusta (mia moglie, ndr) da anni ci siamo inventati la pratica del ‘posizionamento dei grappoli’, separando uno per uno gli stessi e proiettandoli nello spazio in modo che possano assorbire tutta la luce ed essere accarezzati da tutta l’aria che il nostro clima ci dà, è perché esprimere nei vini l’anima del nostro territorio è da sempre il nostro principale obiettivo.
Se parlo con una persona nativa di Napoli, ne apprezzo la vitalità e l’esuberanza se accompagnate anche da buona educazione e savoire faire, se condivido il lavoro con un collega bergamasco ne apprezzo l’efficienza e lo spirito di collaborazione se accompagnate da una certa affabilità e savoire vivre. Se voglio mangiare una carpa del mio lago, la lascio spurgare perché lo sgradevole odore di fango tipico del suo ‘terroir’ se ne vada, perdendo sì in questo modo una parte del terroir stesso, ma riuscendo a fare apprezzare la carne della suddetta carpa ai miei sensi. Se ho freddo mi copro (la metafora credo non sia fuori luogo perché il vino è innanzitutto affare dei sensi): ma ci sono persone che amano fare il bagno nella Neva o nella Vistola d’inverno, e va bene così, sono libere di farlo se gli piace e al loro organismo non fa male. Nessuno però può dire che io non vivo appieno il mio ‘terroir’ se appongo tra il clima espressione di esso e il mio corpo un vestito pesante.
Insomma, nella vita tutto è relazione, ogni cosa è essenza di se stessa modificata e plasmata continuamente dall’ambiente che la circonda. Per cui il vino, come una persona la cui libera espressione dell’anima viene arricchita da un’istruzione e un’educazione adeguata, credo sia riflesso degli aromi, dei colori, degli acidi delle bacche che lo generano, ma che per poter parlare agli uomini che lo bevono necessiti, né più né meno di una persona, di una corretta educazione ed istruzione: che non coprono il terroir, ma ne permettono una più ampia e serena fruizione. Se il suddetto Napoletano urlasse e sbraitasse in modo sguaiato, sarebbe nei miei confronti scostante, lo eviterei e con ciò non potrei apprezzare ciò che lui ha comunque dentro.

vit ha detto...

stefano 2

Se alla Tosa dal 1994 abbiamo affrontato il problema della a volte parossistica acidità soprattutto della Barbera, non risolvendolo rapidamente con un massiccio uso di disacidificanti o utilizzando vitigni arrotondatori, ma con un complesso e variegato piano di nutrizione dei terreni e dell’apparato fogliare delle viti che ha cominciato a dare i primi frutti dopo tre anni e che seguiamo ancora con perseveranza, non è stato per nascondere e ottundere le caratteristiche dei vini per adeguarli ad una moda corrente, ma per, appunto, dotarli di una congrua educazione e farli diventare persone mature. Il punto sta non nell’intervenire o nel non intervenire, ma nel senso della misura e nell’equilibrio che ispira ogni intervento, e quest’ultimo è strettamente personale e dipende dall’atteggiamento di fondo che istintivamente si ha. Io amo l’uva, l’uva in generale e l’uva del mio territorio in particolare, e desidero fare in modo che anche i nostri clienti lo possano fare. Equilibrio e senso della misura che significano, ad esempio, domare l’esuberanza-acidità del bambino Barbera lasciando la sua personalità comunque esprimersi: io ricerco un Gutturnio che possa denotare una certa morbidezza all’assaggio, ma che se paragonato ad esempio a un Merlot o a un Cabernet riveli la sua fresca acidità.
La ricerca dell’equilibrio e del personale senso della misura nasce, credo, dalla scintilla della passione, che si sprigiona in un attimo, ma perseguire questa ricerca è lungo e faticoso, richiede tanto lavoro come lo richiedono soprattutto le strade lastricate di sottili equilibri, chiaroscuri, sfumature, vitali dualismi e fertili contraddizioni. Più semplice a volte è vedere il mondo in bianco e nero, non intervenire o intervenire poco nell’educazione del proprio figlio pensando così, sicuramente con affetto e in buona fede, di rispettarne l’anima e la libera espressione di essa.
Se alla Tosa dal 1997 abbiamo intrapreso un lungo lavoro, relativo alla Barbera e soprattutto alla Croatina, per risolvere il problema delle riduzioni e degli odori estranei così frequenti in questi vitigni, lavoro che ci ha ‘complicato (con gioia) la vita’, investendo i settori dei trattamenti anticrittogamici nei vigneti, delle fermentazione alcolica, dello studio degli equilibri chimici del vino, persino delle correnti elettriche vaganti nei contenitori d’acciaio; se abbiamo poi capito che dovevamo principalmente affrontare i ‘problemi esistenziali’ dei lieviti, ossia assicurane una ricca e non convenzionalmente completa nutrizione (naturale, dandogli da mangiare altre cellule di lievito), è stato perché il nostro terroir si potesse esprimere interamente e liberamente. Non coperto e ottuso da riduzioni che sono la conseguenza e lo specchio delle difficoltà fermentative dei lieviti, o da inquinamenti (leggi Brettanomyces, l’odore di stalla, come lo definisce Ribéreau-Gayon) che danno odori simili in tutte le regioni viticole del mondo e sono un attentato alla ‘biodiversità’ organolettica dei vini. In questo caso, la precisione, il senso dell’igiene e la maniacalità che amiamo profondamente e che pervadono in particolare Mauro, il nostro collaboratore di cantina, sono preziose e fondamentali. Lavoro, nient’altro che lavoro.
A questo punto mi scuso con te, Giorgio, e con chiunque stia leggendo, per il dilungarsi del mio discorso (non nuovo per me, anche in miei altri interventi in questo blog), ma davvero non riuscivo a scrivere di meno. Era il minimo per cercare di esprimere la mia idea di territorio. Esso, o meglio Lui, l’ambiente in cui non sono nato ma ho scelto di vivere, lo vivo tutti i giorni, lo amo e ne sento incessantemente bisogno, come una vite del terreno in cui vive.
Stefano

vit ha detto...

stefano 3, sul Gutturnio frizzante...

Caro Vittorio,
ecco un secondo commento (molto più breve del primo), a proposito del Gutturnio frizzante.
Io spero che cresca e migliori sempre di più, e che possa diventare la ‘crema’ del rosso vivace italiano. Però non credo possa essere la chiave di volta per lo sviluppo della nostra zona viticola, per l’idea che ho di espressione collettiva di un terroir. Semplicemente, come i Francesi insegnano e praticano, trovo che sia logico per una zona produrre quei vini e quelle tipologie che danno il meglio di sé in quel terreno e in quel clima. Punto. Una viticoltura tutta di collina, spesso su terreni argillosi, terreni in alcune vallate particolarmente poveri, non mi sembra vocata esclusivamente, e in diversi casi anche principalmente, per i vini frizzanti, specie rossi. Come già scritto da Elena, è più una vocazione prioritaria per le viticolture di pianura come quelle dei Lambruschi. Ben vengano degli ottimi Gutturni vivaci da noi, ma non credo possano essere trainanti per l’immagine di una zona dotata di certe caratteristiche pedoclimatiche come la nostra.
E poi, siccome, me lo insegni, scopo di una Guida dei vini è premiare quelli che in base al suo sistema di valori essa ritiene essere i migliori, al di là dei desiderata o delle considerazioni strategico-commerciali, mi chiedo, pur trovando oggi nella nostra provincia diversi Gutturni frizzanti veramente buoni e qualcuno anche di notevole struttura, quanti di essi però sinora possono essere obiettivamente (= organoletticamente) considerati migliori o alla pari dei non pochi Gutturni fermi, Superiori, Riserva o senza una particolare qualifica più ricchi e concentrati che da ormai un po’ di anni popolano le nostre vallate.
Stefano

vit ha detto...

Pubblico un nuovo intervento, è di Lucio Salamini:


Aria sinistra ieri – di sera – giù in strada.

Ho guardato, da dietro la tenda, oltre il cortile.

C’era trambusto in casa Barbieri.

Poi, niente.

La notte.

D’un tratto mi sveglio. E mi affaccio di nuovo.

Un rumore di vetri a cadere. E un lago di vino sul marmo. Ed un uomo impaurito. E una scritta sul bianco. Ed un nome. Ed è scritto “Macchiona”.

L’han preso, ingabbiato.

“E’ Barbieri Vittorio, spacciatore di uomini!”

“L’abbiamo davanti! Colpevole nato!”

“Assassino di vini!” Gli han scritto sul prato.

Ora son qui, tra i giurati. Gioco col mio orologio ed il sole sul muro, mentre mi annoio, e penso alla terra che fuma in novembre, quando cambierò casa.

Mi chiedon di dire, di fare, tranciare giudizi.

Penso a tranciare. E un po’ mi vien fame.

Penso ad Alfredo, che non ho mai conosciuto. E me lo vedo lì magro, davanti, che mi dice che il mercato svolazza.

Era il mio sogno bambino: poter svolazzare.

Ma non glielo dico. Per ora.

Una voce mi chiama, e devo parlare.

Con davanti Vittorio mi alzo, e cerco di non essere troppo scontroso.

“L’ho visto. Era notte. Ma la luce era accesa.

L’ho visto.

E’ lui che l’ha ucciso.

Ha ucciso Macchiona.

Ma vi dico una cosa, che se il mondo fosse migliore sarebbe attenuante: l’ha ucciso per amore.

Per amore del Vino, dei Colli, di Bonarda e di Barbera, per amore delle Vendemmie e dei Produttori, della Stoppa e la Tosa, dell’Acciaio e del Legno, per amore della Malolattica e di chi non la fa, della Doc e di chi non ci crede, delle mille bottiglie infauste bevute nel sogno-speranza di trovarne una buona, per amore di questa terra che, cazzo, è Piacenza, e non St-Emilion, ma non me lo dire, che domani mi sveglio e corro in cantina e strappo un bicchiere dal legno e nella bocca mi invade il velluto, e chiudo gli occhi già chiusi e sento morbido tabacco che corre, e fiori secchi d’inverno, e non c’è nebbia nel naso ma lunghezza di Vino che accompagna il mio sogno e non voglio, non voglio tradizioni tra i piedi, e lungaggini, e lezioni noiose.

Voglio del Vino, del Vino.

Alfredo, non svolazza il mercato, svolazza la guida.

Per anni a spiegarci di andare, assaggiare, imparare e – per assurdo – copiare, premiando da rosso a Piacenza solamente un vitigno non nostro; e oggi, di colpo, a scrivere – santi – che quel che ai vini da loro premiati è mancato è la personalità. Dov’è la coerenza?

Un ortrugo per giorgio.

Credimi, Alfredo, è sacro il mercato. Dove chi scrive e chi legge hanno lo stesso peso. Dove il produttore altezzoso abbassa la testa di fronte al macellaio scorbutico che rinfaccia che il vino è svanito.

E dunque…Colpevole!

Alla gogna Barbieri.

Non si spara su un vino. Sul lavoro degli uomini e sui loro sogni, diversi dai tuoi.

Eterno rispetto per il lavoro di un uomo.

Anche io sogno altre cose per questa terra non mia. Altre suadenze.

Ma lunga vita a chiunque abbia un’idea, e la scriva alta, con onore, sulla propria bandiera e nella propria bottiglia.

Lui/Lei hanno certo da insegnarci qualcosa.”

E’ pomeriggio.

Ed è tutto finito.

Ora Barbieri riflette, tra mura di sasso, sul Vino, Piacenza, il Presente a Zig-Zag e il Futuro radioso.

E di colpo un suonar di campana.

Un’oretta d’aria non può che far bene anche a Lui.

Lucio Salamini

vit ha detto...

Ciao Vittorio,
> incollo qua il mio parere sul macchiona 05, sul blog per qualche starno
> motivo non è comparso, ho inviato il msg a notte tarda.
> Grazie per l'attenzione.
>
> Paolo Rusconi
>
> Innanzi tutto complimenti a Massimiliana ed Elena per i tre bicchieri.
> Ci aggiungo i complimenti a Marco Lusignani per le 5 bottiglie
> dell'Espresso.
> Sono molto contento per svariati motivi: 3 vini sulle vette della
> qualità italiana, tre vini da bacche autoctone, tre vinificazioni
> assolutamente tradizionali.
> Tre vini piacentini fino in fondo.
>
> Vengo alla Macchiona 05, scusa Vittorio ma non sono d'accordo con te sul
> giudizio, o forse meglio sulla concezione di gutturnio.
> Amo il gutturnio, quello vero, fatto di barbera e bonarda, il gutturnio
> dalla schiena ritta, senza stampelle internazionali per reggersi.
> Lo so, lo sappiamo tutti che da giovane è facile che vada in riduzione,
> che abbia qualche puzzetta, ma che succede a questo vino dopo qualche anno?
> Vive e escono sorprese bellissime.
> Vitt c'eri anche tu alla verticale della Macchiona dove abbiamo iniziato
> con un 85 e abbiamo finito con un 2003... e purtroppo non c'eri ai miei
> solitari assaggi di vecchie bocce di frizzanti impremiabili in annata...
>
> A volte i premi sono assegnati a vini a venire, un barolo di 4 anni
> scarsi a me fa rabbrividire ... non lo premierei mai per quello che ho
> nel bicchiere al momento, ma fortunatamente si può a volte vedere oltre.
> E' solo un esempio, ma calza anche per il gutturnio vero, riserva fermo
> o frizzante che sia.
> Ne ho un piene le scatole di vini perfettini, dolcini, uguali tutte le
> annate, ugualmente defunti al massimo nel giro di un paio d'anni. Fermi
> o frizzanti che siano. Non mi stanco invece dello strabismo di Venere,
> di quella bellezza non limata e aggiustata in cantina che per fortuna
> possiamo trovare ancora su questi colli, bellezza che esce col tempo e
> nel tempo dura.
> A quando un frizzante tribicchierato? Non lo so, non vedo ancora un
> produttore abbastanza folle da attendere il proprio frizzante anni. Ma
> ti garantisco che parecchi frizzanti a 5, 6 o 10 anni dalla vendemmia
> meritebbero un punteggio over 90... ma non di soli premi vive il
> viticoltore, e un frizzante, come diceva Elena vale oggi 3 euro al
> massimo. (ps L'espresso ha sdoganato un altro - a volte - frizzante il
> Barbacarlo 07...)
>
> Paolo Rusconi
> SorgentedelVino.it
>
> --
> Sorgentedelvino.it
> c/o Chiaroweb di Barbara Pulliero
> fr. Chiarone 11
> 29010 Pianello Val Tidone (PC)
> tel. 0523 998416
> cell. 335 6564315 348 2667381
> skype Paolo Rusconi

vit ha detto...

Caro Paolo,
anch’io amo il Gutturnio fatto di sole barbera e bonarda, il Gutturnio schietto, vivo, vibrante, scattante, con l’acidità tagliente della barbera e i tannini rugosi della croatina in evidenza (vabbè, poi preferisco l’acidità della barbera ai tannini della croatina, ma questo è un altro discorso). Quando ho assaggiato Macchiona 05 per la prima volta ero prevenuto, ma attenzione, in positivo, davo per scontata la poco nitidezza del naso, questo sì, ma davo altrettanto per scontata la forza e l’energia del palato (che credo contino di più di una puzza), che mi è sembrato invece più ammorbidito del solito, più rotondo, più dolce, meno grintoso, meno tonico. Punto. E’ questo che mi ha colpito più di tutto in quest’annata di un vino di cui ho apprezzato alcune vecchie versioni che ho avuto la fortuna di assaggiare nella verticale da te citata. Anche la seconda bottiglia stappata dopo un paio di settimane dalla prima ha confermato il primo giudizio. Sul Gutturnio frizzante, beh, io ci credo, credo in questa tipologia (continuo a credere che sia la versione di Gutturnio più adatta ad esprimere le potenzialità di queste uve in questo territorio) anche se non è detto che l’unica strada da seguire sia quella della rifermentazione in bottiglia.

vit ha detto...

Pubblico l'intervento di un altro produttore, Nicola Montesissa, eccolo:

Caro Vittorio,
mi fa piacere poter dire la mia opinione sul Gutturnio ,anche se con un po’ di ritardo. Per prima cosa voglio fare i complimenti ad Elena e Giulio per il successo della Macchiona primo vino da uve Barbera e Bonarda ad avere avuto questo riconoscimento, oltre che a Barattieri per il suo vin santo. Fermo o frizzante l’importante è che il nostro territorio dalle molteplici capacità produttive riceva, il giusto riconoscimento per l’impegno profuso dai produttori più meritevoli. La fortuna o sfortuna di noi produttori piacentini è che siamo figli di un territorio, che se lo vogliamo (rispettandolo ed assecondandone la propria natura) ci può dare delle eccellenze, dalla malvasia al vin santo di Vigoleno, dai Cabernet alla Barbera, dalla Bonarda al Gutturnio sia frizzante che fermo; che questa cosa venga riconosciuta poi è un altro paio di maniche. Logico, il problema non è semplice, nel territorio del “tutto possibile”, su cosa puntare per far conoscere la vera essenza di ciò che produciamo? Non sicuramente su prodotti di infima qualità quotati a prezzi indicibili su di uno scaffale di un qualsiasi supermercato, nella fattispecie per la nostra realtà Gutturnio frizzante. Gutturnio frizzante; lo stesso vino che continuiamo a discutere che quasi tutti noi produciamo, ma che esce dalla nostra provincia in grande quantità con una qualità scarsa e che il terroir non sa nemmeno cosa sia. Allora io dico ben vengano i riconoscimenti a Piacenza ai produttori che del terroir hanno sempre fatto la loro bandiera, portando avanti la propria filosofia ed il loro credo, ma penso altresì che non possiamo uscire da Piacenza solo con una piccola produzione di eccellenza.
Penso che un’azienda debba produrre eccellenza, ma debba fare qualità anche e soprattutto sui vini per tutti i giorni, allora se guardo l’Azienda Piacenza vedo eccellenza di qualità elevata, ma se devo decidere di bere tutti i giorni………
Il Gutturnio frizzante è il vino per tutti i giorni come lo sono Malvasia, Ortrugo, vinificati come vini frizzanti, certo non dobbiamo pensare di produrre frizzanti a 14 gradi, questo significa ovviamente avere il giusto equilibrio di vigneto, la giusta esposizione e l’applicazione di tutte le tecniche colturali necessarie in funzione di quello che sarà il nostro obbiettivo finale nel vino.
Allora puntare su vini frizzanti o su vini fermi? Vini frizzanti di qualità se comunicati nel modo corretto avrebbero un grande appeal espressivo, per varie ragioni che non ripeterò per l’ennesima volta a chi mi ha già ascoltato, ma come tutte le cose ci si può credere oppure no!!!!!
Ai consumatori ed alle guide l’ardua sentenza, io con la mia famiglia da umili produttori continueremo sulla via di ciò che crediamo sacrosanto, come del resto anche per altri produttori piacentini, sperando che un domani non troppo lontano anche il mercato possa remunerare nel modo corretto lo sforzo di chi della propria attività vive.

Montesissa Nicola

Massi ha detto...

Purtroppo non ho ancora avuto l’occasione di bere il vino in questione, ma personalmente mi fa molto piacere che un Barbera Bonarda abbia ricevuto un così alto riconoscimento.
Sono felice che la componente “espressione del territorio” sia considerata nella scala valori di una guida.
Certo io non sono uno di quelli che amano le guide e in particolar modo i punteggi, non per presunzione, snobismo o perché sono uno che dice che tanto sono tutte truccate (anche se a volte certe sentenze giudiziarie ci fanno capire che tutto regolare non è sempre stato); ma molto semplicemente credo che un vino non può essere equiparato ad un numero: un vino esprime emozioni, ognuno può amare emozioni diverse e qualcuno può cercare nel vino cose che magari un altro desidera non trovare: a me emoziona riconoscere un territorio o un’annata, a volte ritrovare nel bicchiere il carattere del produttore, del suo modo di concepire il vino, ad altri emoziona il vino perfetto.
Ma qual è il vino perfetto? l’acidità, l’alcol, il tannino, la tradizione, il territorio, l’eleganza, l’equilibrio; ognuno di noi ha dei piccoli schemi mentali, preconcetti che quando andiamo ad analizzare un vino a fondo non riusciamo ad eliminare completamente ed è qui che non credo che con un numero si possa esprimere a pieno un vino.
Elena Giulio, i vostri vini mi hanno sempre emozionato!
Commercialmente parlando mi dicono che il massimo punteggio su una guida non faccia più quella grande differenza di qualche anno fa, questo mi rincuora, personalmente mi ha sempre un po’ spaventato che le guide potevano decidere la vita o la morte economica di un’azienda.
Per quanto riguarda il Gutturnio frizzante, sapete come la penso, io credo sia il vero Gutturnio, ma allo stesso tempo credo che l’autoclave abbia deprezzato/rovinato la nostra provincia. Una buona bottiglia di vero Gutturnio frizzante che ti invoglia ad essere finita, non può mai mancare sulla mia tavola, poi se prenda riconoscimenti o meno poco mi importa.
Un caro saluto a tutti

Massimiliano Croci

P.S.
Leggendo le parole dei produttori in questo blog si riconosco i lori caratteri ed anche i loro vini,
e questo quando li bevo me li fa apprezzare ancora di più

vit ha detto...

Voce ai ristoratori: Massimo Mocchi de La Taverna di Chero.


Innanzi tutto colgo l'occasione per complimentarmi con Elena e Giulio per il risultato ottenuto.
Speriamo che questo riconoscimento porti beneficio a tutto il mondo vitivinicolo Piacentino.
Io personalmente, per miei gusti personali, non condivido la scelta dei degustatori del Gambero Rosso, nonostante ciò rispetto il lavoro e la costanza nelle scelte portate avanti dalla cantina La Stoppa.
Da non tecnico del vino, ma da semplice bevitore, mi permetto di dare un giudizio puramente personale e soggettivo, di conseguenza, quando bevo, mi permetto di dire se un vino mi piace o meno.
Come ristoratore ho intrapreso la strada della promozione dei vini autoctoni della nostra terra, portando in carta solamente vini come Gutturni, Malvasie, Monterosso, Val Nure e Ortrugo nelle più variate interpretazioni, ignorando i vini ad uvaggi internazionali, oltre a proporre vini di cantine Internazionali ( ma questa è un'altra storia), di conseguenza mi fa felice il fatto che venga riconosciuto e premiato un vino Realmente Piacentino e non un uvaggio Internazionale.
Premesso ciò mi permetto di evidenziare una cosa che, parlando più volte con colleghi e clienti, è venuta alla luce, ovvero che Macchiona ha delle caratteristiche di non facile piacevolezza, specialmente a livello olfattivo.
Ora se questo sia un difetto o meno non tocca a me dirlo,non essendo appunto un tecnico, ciò che posso dire però è che il più delle volte il cliente a fatica beve interamente la bottiglia di Macchiona, e come detto precedentemente, anche al sottoscritto capita la stessa cosa; ciò però non succedeva negli anni passati ( anni 90 ), anni in cui Macchiona era per me l'unico grande vino rosso Piacentino. Come dice Paolo, che saluto, nelle verticali di annate passate si sono ottenuti risultati notevoli, appunto, annate passate, non ditemi che Macchiona viene prodotto con la stessa Ideologia degli anni 80 e 90 ! Se ciò avvenisse chiedo scusa per la mia ignoranza.
Dico inoltre che, troppe volte, sento parlare di “Tipicità”; cosa vuol dire? Quali sono i parametri che stabiliscono la tipicità di un vino prodotto sulle colline della Val Tidone nonché in val Nure, in Val d'Arda e via dicendo? Diversità di territorio, microclima particolare, esposizione diverse e quanti altri fattori possano influire su di un vino. Sarebbe giusto, limitarsi a dire che un vino viene prodotto in base al credo, cultura e concezione di territorio che ogni enologo e/o cantina possiede; se qualcuno ha il coraggio di intraprendere strade alternative, tanto di cappello, però dovrebbe mettere in conto che ci si possa esporre a critiche ( meglio se costruttive, se non fine a se stesse) ed avere apprezzamenti non favorevoli, senza per questo offendersi o provare indignazione ( non so se sia questo il caso di Elena con Vittorio), come d'altra parte ottenere elogi e riconoscimenti.
Il mio non vuole essere uno schierarsi da una parte o dall'altra, ma l'esprimere un'opinione soggettiva, come pochi fanno, ma che tutti dovrebbero fare, senza voler offendere nessuno.
Una cosa comunque mi auguro, che questa sia l'occasione per le cantine Piacentine di puntare maggiormente sul vino rosso per eccellenza dei Colli Piacentini.
Metto inoltre a disposizione il mio locale, come già fatto più volte, per effettuare un incontro nel quale confrontarsi e discutere.
Mi sembrerebbe inoltre corretto che le persone che dialogano sul blog, scrivano il proprio nome e cognome, per sapere con chi si parla
Mocchi Massimo
Taverna di Chero

Unknown ha detto...

Filippo Volpi, un amico carissimo, mi dice sempre che ci sono vini di territorio e vini dell'uomo. Sono due modi diversi ed entrambi legittimi di fare e pensare il vino. Per fare un esempio romagnolo, Villa Liverzano è una ricerca che non cerca una espressione di territorio, ma piuttosto uno stile originale che si rifà ad un canone nel quale il produttore crede. Il vino è molto buono, molto originale, ma non è un vino di territorio. Io non credo che concimare con il potassio sia fare vino di territorio, significa invece mediare il territorio. E' una cosa diversa, legittima e nella quale si può credere, ma secondo me non è fare vino di territorio. Anche la ricerca di Salamini ambisce ad essere più libera. perfetto, ma ha senso se è dichiaratamente originale. Un territorio vive anche di ricerca, l'importante è essere chiari e leggibili. Questo è quello che penso io, è discuterne mi piace.

vit ha detto...

Caro Giorgio, sono perfettamente d'accordo con te...e discuterne piace anche a me. Hai colto perfettamente lo spirito della mia provocazione (che ha lo scopo di discutere apertamente di ciò di cui di solito non si discute), che ovviamente non è un attacco a un vino, a un'azienda, o a persone (qualcuno questo l'ha capito, qualcuno no), ma il tentativo di dare uno scossone e ragionare insieme su argomenti che ci stanno a cuore.

Giovanni ha detto...

Caro Vittorio un grande plauso a TE.
Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dire la verità.
Plaudiamo da sempre gli autoctoni, la valorizzazione del territorio, ma non dobbiamo scordarci che siamo a fare vino. L'enologia prima di tutto, ovvero prodotti che sono:
1) assenti da difetti
2) FATTI CON VITIGNI CHE ESALTANO IL TERRITORIO, OVVERO I COSIDDETTI AUTOCTONI
3)CERCARE DI MIGLIORARSI ATTRAVERSO LE TECNICHE, SENZA IMPORTARE VITIGNI CHE NON CI RAPPRESENTANO

IL VINO E' PIACERE E CULTURA, QUANDO MANCA UNO SOLO DEI DUE COMPONENTI I TONI SI ABBASSANO E LA POESIA FINISCE.

ludovico ha detto...

AH, VAL LURETTA. TERRA DI VINI E DI POETI!
Difficile poter aggiungere qualcosa all’intervento di Lucio.
Devo ammettere che questo curioso mondo del vino, da neofita, o ultimo arrivato che dir si voglia, non smette mai di stupire, o meglio di intrigare.
E’ innegabile ed è facile rendersene conto, anche solo leggendo alcuni degli interventi, compreso il commento iniziale, che questo è il mondo del “tutto” e del “niente”.
Un turbine confuso di terminologie non codificate che si spostano a seconda delle situazioni e delle simpatie. Un giorno le caratteristiche diventano difetti, i difetti caratteristiche, la perfezione poesia, la poesia perfezione, la terra territorio, il territorio terra, la passione vino, il vino passione… l’uomo vino,
e il vino improvvisamente grande.
Un abbraccio a Elena , a Machi e Alberico e grazie di tutto.

Ludovico Gonzaga

vit ha detto...

Ecco un intervento di Graziano Terzoni...a quanto pare il blog sta vivendo un'inaspettata quanto gradita sterzata letteraria...


Caro Vittorio,ultimamente mi diletto a leggere poesie, ne ho trovata una che fa al caso tuo, scritta da Roxana Adam:

Ascolta.............
c'č il vento che passa tra gli alberi,
poi silenzio e dall'alto del cielo un angelo piange,
le sue lacrime cadono su la terra lavandoci dai peccati.
Vittorio, da quando ti son cresciute le ali?

E anche per gli amici Elena e Giulio, Lucio, Stefano, ecc........a voi dedico quest'altra poesia di Madre Teresa di Calcutta:

Se fai il bene, ti attribuiranno
secondi fini egoistici
non importa, fa' il bene.
Se realizzi i tuoi obiettivi,
troverei falsi amici e veri nemici
non importa realizzali.
Il bene che fai verrą domani
dimenticato.
Non importa fa il bene.
L'onestą e la sinceritą ti
rendono vulnerabile
non importa, sii franco
e onesto.
Dą al mondo il meglio di te, e ti
prenderanno a calci.
Non importa, dą il meglio di te.

Baci e abbracci a tutti, ciao graziano terzoni

roby ha detto...

Fantastica questa discussione apertasi sul caso Macchiona perchè credo che dimostri quanto i vini dell'Elena e Giulio negli ultimi anni hanno portato gli appasionati a dividersi tra pro e contro e viceversa senza magari riuscire ad esprimere un giudizio imparziale anche per la stima, l'amicizia e la riconoscenza che tutti abbiamo verso di loro e per la caparbietà che hanno nel perseguire una identità inequivocabile.
Sono sicuramente un sostenitore dei metodi naturali di fare vino più per amore della "terra" che per i risultati che spesso abbiamo bevuto da molti produttori italiani e sicuramente le ultime annate dei rossi Stoppiani m hanno lasciato perplesso al primo impatto naso-bicchiere per la presenza di note di ridotto che fatico a digerire.
Quindi...pronto all'assaggio avvantaggiato dall'apertura precedente di qualche ora ma..svantaggiato dall'aver bevuto prima un bel "tappo" di grenache biodinamico SudFrance..ammetto che rimango ancora sconcertato al naso ma percepisco un bel frutto ricco e concentrato.La bocca poi impatta su una dolcezza-morbidezza che sovrasta l'acidità della barbera e che trovo inconsueta per Macchiona e...(perdonatemi l'eresia) mi fà ritornare al Vignamorello 07 testato (forse troppo giovane)l'anno scorso complice l'annata cosi ricca di maturità di frutto e opulenza.
Mi passa per la testa improvvisamente...un piccolo taglio international??????
No è impossibile...anzi impensabile
Poi finalmente la rude Croatina comincia ad uscire alzando il tono, l'abbondante persistenza tannica taglia il palato sostenuta da notevole alcoolicità nel vino che ora manifesta...la sua severità
Strano...ma trovo perfino un accenno di "modernità" in una Macchiona che sicuramente non aveva questo obbiettivo nelle intenzioni. Mi spiazza un pò anche l'idea di territorio che pensavo di avere ma la voglia e l'umiltà di apprendere sempre dagli altri mi dice di ascoltare tutte le voci sulla piazza per capire quale evoluzione ci sarà.
Forse avrei preferito testarlo a bottiglia coperta per non essere influenzato nè dal nome nè dal premio e testare così anche la mia ignoranza o meno in materia.
Rimane il fatto che per chi fà il mio mestiere risulta un pò più difficile gestire queste bottiglie,che non possiamo aprire prima che ci vengano richieste dai clienti..per ridurre un pò l'impatto olfattivo e spesso porta il consumatore a giudizi altalenanti, però noi cerchiamo di spiegare il..perchè e il percome ma è un compito che ci deve competere essendo noi l'anello di giunzione tra produttori e consumatori .
Rimane indiscutibile l'orgoglio di aver raggiunto un traguardo tanto ambito con un NOSTRO vino a base barbera-bonarda e applausi a chi ha lo ha creato e a chi lo ha premiato..questo alla fine è quello che deve contare!
Finalmente i Colli Piacentini per il pubblico non saranno più vocati solo per vini dolci o Cabernet Cerchiamo di dimostrare un poco di fermento da una provincia assopita e statica e evitiamo di dare l'impressione,come sempre, di essere partigiani o di curare l'orticello della famiglia.
PS.
perchè(quando sarà ritenuto dai critici) non premiare un frizzante anche se costa poco?
Chissenefrega!
Anche la trippa e la picùla costano poco ma se ben cucinate danno la loro bella soddisfazione!
Altrimenti noi "operai di cucina" dovremmo cucinare solo foiegras,ostriche o aragoste??????
Roby del SanGiovanni

Il tufiello ha detto...

La Macchiona premiata con i tre bicchieri. Credo bisognerebbe rallegrarsene veramente, ancor più se si vive sulle colline piacentine

Io sono un appassionato vignaiolo, ho trascorso circa un anno di tempo alla Stoppa, conosco quindi il modo di lavorare di Elena e Giulio.
La linearità prima nel produrre l’uva, assecondando cosa offre il loro splendido territorio senza forzature, e poi l’ancor più rigoroso lavoro in cantina volto a lasciare intatto il carattere delle uve con una lavorazione tradizionale senza scorciatoie.

La Macchiona è un vino che emoziona:
rimane impresso il suo carattere, forse non facile, ma vero, coerente con i vitigni ed il “territorio” nella accezione più ampia. Un vino dalle grandi potenzialità d’abbinamento, che con il passar degli anni cresce ed arriva ad un’eleganza inimmaginabile in giovinezza

È interessante per me il dibattito perché da Irpino, trasferitosi in Piemonte vedo dall’esterno il mondo del vino piacentino ed un aspetto salta all’occhio: quale Gutturnio frizzante degustato alla cieca al di fuori del territorio piacentino può esser riconosciuto quale figlio di questo territorio?

Nel ‘99 sono stato per un po’ di tempo sulle vostre colline dove ho imparato a conoscere i vostri Gutturnio; non sempre di semplice approccio, e con un naso non dei più facili, ma, abbinati con i grandi salumi della zona sono rimasti nella mia memoria.
Oggi si bevono spesso dei Gutturnio, stilisticamente perfetti, ma, un po’ come donne rifatte, possono essere confusi con vini di ogni dove, con una Bonarda dell’Oltrepò, o addirittura con gli inverosimili Gragnano, che la mia terra si è tristemente dimenticata.

Quanto più un territorio, prima del produttore, riesce ad esprimere attraverso un vino dei caratteri unici senza la necessità di forzature in vigneto né di stratagemmi o tecnologie utilizzabili in ogni luogo (fermentazione a bassissime temperature, eccessivo legno, utilizzo di tannini, glicerina, concentratore, vitigni non legati al terrirorio etc etc ) solo allora ha l’onore e l’onere di far parte di uno dei grandi territori del vino italiano

Sono molto legato al territorio Piacentino, devo molto agli amici delle vostre colline, spero che non ci si sottometterà alle facili e volatili mode, alle scorciatoie che riportano indietro e si cercherà di incrementare passo dopo passo le conoscenze per produrre ogni anno vini sempre più linearmente legati al territorio e all’annata; magari difficili ma inconfondibili e non facilmente sostituibili.
Vi auguro, come so che meritate, di diventare uno dei territori indimenticabili del vino italiano; uno di quei luoghi che emozionano.


Guido Zampaglione
Tenuta Grillo – Il Tufiello