martedì 3 novembre 2009

identità multiple.

Eric Doeringer - Maurizio Cattelan

Non si è mai parlato così tanto di vini piacentini come in queste ultime settimane. Anche al di fuori dei confini provinciali. Gli addetti ai lavori (locali, prevalentemente) si infervorano come mai s’era fatto di recente, gli appassionati che ignoravano la zona si incuriosiscono. Le scelte del Gamberorosso e dell’Espresso, i premi assegnati, con conseguenti discussioni, hanno portato esposizione mediatica ai vini e ai produttori premiati (Macchiona, Stoppa, premiata con l’importante riconoscimento per la Viticoltura Sostenibile e la copertina sull’ultimo numero del mensile del Gambero, il Vin Santo di Barattieri miglior vino dolce dell’anno, Lusignani e il Vin Santo di Vigoleno), e in qualche modo al territorio tutto. La portata e le conseguenze di quest’esposizione non sono ancora chiare, però è importante continuare a discutere, perché la discussione è cosa anomala e poco conosciuta da queste parti, è sempre rimasta in sottofondo come un brusio timido e tenue e dovrebbe diventare invece un esercizio continuo e costante.
A livello vitivinicolo, meglio, a livello d’immagine vitivinicola, i Colli Piacentini sono la terra del tutto è possibile, perché ci mancano la consapevolezza e il disincanto, la voglia di rimettersi in discussione e di prendere decisioni forti. E nella terra del tutto è possibile, il rischio è che nulla abbia valore. E allora una domanda, la solita domanda.

Quale vino dobbiamo comunicare per far uscire un’immagine, un’identità comune e riconoscibile che possa differenziarci dagli altri? I passiti e i Vin Santi? I Gutturnio fermi (quelli giovani d’annata o le Riserve?). I Gutturnio frizzanti? Lo so, se ne è parlato a lungo, se ne parla continuamente, non se ne può più di parlarne. E allora decidiamo cosa fare. Credo sia il caso di continuare a battere su questo tasto, oggi più che mai.
Io penso che i Colli Piacentini potrebbero costruirsi un’identità prima di tutto attorno al Gutturnio frizzante, il vino più prodotto per numero di bottiglie complessive e prodotto da quasi tutte le aziende. Poi, accanto, le chicche. I passiti e i Vin Santi, i rossi fermi ambiziosi, le Malvasie ferme. Pur essendo il vino più prodotto, il Gutturnio frizzante passa in secondo piano quando si deve fare uscire un’immagine collettiva, quasi ci vergognassimo un po’ ad avere un vino rosso frizzante come vino-portabandiera.
Questo ovviamente non vuol dire smettere di produrre vini rossi fermi in grado di sfidare il tempo, o grandi passiti, se certe sottozone lo permettono (anzi, in una provincia dalle caratteristiche molto varie esistono sottozone più adatte a produrre rossi fermi da barbera e croatina piuttosto che vini frizzanti), solo concentrarsi particolarmente su una tipologia a livello comunicativo. Che poi vorrebbe dire anche iniziare a porre finalmente maggiori attenzioni ai vigneti, alle cantine e alla commercializzazione (vedi prezzi) del Gutturnio frizzante, perché la comunicazione parte da questi aspetti.

1 commento:

Barone Vico ha detto...

Volevo aprire il mio commento sottolineando la grande soddisfazione rispetto al momento della viticoltura piacentina. E' un momento importante che costituisce un primo traguardo e il riconoscimento degli sforzi fatti ma anche uno sprone a fare sempre meglio nella consapevolezza che il territorio ha enormi potenzialità da esprimere e il vantaggio di avere ancora forti spazi di miglioramento.
Cogliere questi spazi vuol dire consolidare prima di tutto le fondamenta e nel terzo millenio (così come anche in passato ma oggi forse di più) questo vuol dire definire una politica di prodotto e di comunicazione sulla quale lavorare.
La crisi ha tanti risvolti negativi ma volendo vedere il bicchiedere mezzo pieno (e parlando di vino questo è doveroso) ha anche il merito di farci capire due cose fondamentali. E' necessario focalizzarsi e ritornare alle origini.
Da troppo tempo corriamo a tutti i costi dietro al mercato e ai gusti dei consumatori e quando ci sembra di averli raggiunti questi cambiano di nuovo.
Credo che in questo contesto, oggi più che mai, l'arma vincente sia la consapevolezza del proprio potenziale e soprattutto l'Orgoglio. Quell'Orgoglio sul quale le altre importanti zone vinicole hanno sempre fatto leva.
Da questo punto di vista il gutturnio frizzante sintetizza sicuramente bene quella che è la nostra tradizione consentendoci tra l'altro una diffenziazione rispetto ad altre produzioni.
Accanto a questo non dimentico nemmeno la tradizione della Malvasia (il primo vino che da piccoli ci facevano assaggiare) che costituisce sicuramente un'occasione mancata ma che potrebbe rivelarsi il nostro grande bianco.
In sintesi quello che credo è che i tempi siano maturi per compiere una scelta di prodotto qualunque essa sia, perché il costo del non scegliere è di gran lunga superiore al costo di una scelta non ottimale (di questo sono fermamente convinto). Il gutturnio frizzante ha il vantaggio della già estesa diffusione e quindi sembrerebbe la scelta naturale.
Una cosa è certa, dopo la scelta serve convinzione, coesione e tanta fiducia nei propri mezzi.