lunedì 14 gennaio 2008

IL VIN SANTO DI VIGOLENO DI PERINI - LA POTENZA

Dal 1900 si produce in famiglia. Più o meno oggi come allora, siamo di fronte a un vino primitivo e rudimentale, fatto con il minimo della tecnologia.

Le uve vengono raccolte un po’ prima di quelle destinate alla produzione del vino “normale”, per garantire l’adeguata acidità al Vin Santo.
(vigneti ai piedi del borgo, località Villa)

I grappoli di santa maria, melara, bervedino e trebbiano raccolti nei vigneti della sottozona Villa vengono appesi a 2 a 2 con uno spago a travi del soffitto dette "pertiche", evitando contatti fra di essi, creando una fitta rete di “festoni”.


(due immagini di uve in appassimento nel solaio)


(in primo piano grappolo di santa maria in appassimento)

Generalmente verso metà dicembre le uve vengono torchiate intere (in presenza di bucce e raspi) in un torchio verticale da cui si ottiene un mosto densissimo e bruno. Dopo 2-3 giorni di torchiatura il prodotto è posto in un tino di rovere che viene coperto da un telo per evitare contaminazioni esterne. Il mosto viene lasciato fermentare, sedimentare e decantare per 20-30 giorni nel tino.

In questa fase si forma una pellicola di 4-5 mm. di spessore, bianco-verdastra all'esterno e rossastra (quasi color ruggine) nella parte a contatto col mosto-vino. Muffe e lieviti che proteggono il mosto da eccessive ossidazioni.

Dopo lo svolgimento di una prima fase fermentativa si svina, spillando il mosto-vino che viene posto in botticelle di rovere di diverse età (le più recenti hanno pochi anni, le più vecchie oltre quaranta). Sono botti di capacità variabile fra i 100 e i 150 litri, che vengono lasciate scolme, riempite per circa 3/4 allo scopo di innescare le reazioni ossidative responsabili delle caratteristiche organolettiche del Vin Santo di Vigoleno.

(la botticella del secondo anno di affinamento)

Nelle botticelle ha luogo la fase di fermentazione-affinamento svolta da una flora di lieviti autoselezionatisi negli anni, che procede molto lentamente. Durante questo periodo nelle botti scolme si forma il caratteristico e ricercato bouquet ossidativo grazie all'azione dell'ossigeno.


(la botticella del terzo anno di affinamento)

Si usano 5 (o suoi multipli) botticelle, una vera e propria “batteria”, una per ciascun anno di invecchiamento e si fa un travaso all'anno.


(le botticelle degli ultimi 3 anni di affinamento con l'imbottigliatrice e la riempitrice)

l secondo travaso è effettuato per tradizione il giorno di San Giovanni (24 giugno). Con i vari travasi il vino passa dalle botti più grandi a quelle più piccole proprio a causa delle perdite di volume da un anno all'altro. Non si ricorre alle colmature, quindi il vino si concentra particolarmente in un processo di produzione che presenta alcune analogie con quello degli aceti balsamici tradizionali.


(la riempitrice)

L’alcol svolto varia da un’annata all’altra tra il 12% e il 14%, con zuccheri tra i 250 e i 300 gr/, per un alcol complessivo che varia tra il 25% ed il 30%, l’acidità totale varia da 7 ad 8 gr/l, mentre la volatile supera quasi sempre 1 gr/l spingendosi al massimo fino a 1,5 gr/l.



LA VERTICALE

Se il Vin Santo di Barattieri è sinfonico, quello di Perini è semmai monolitico. E del monolite porta in sè qualcosa di arcaico. Così come quello è cerebrale e aristocratico, questo è "di pancia" e contadino.
Sono comunque entrambi pure espressioni dei rispettivi territori di provenienza. Due vini-bandiera, seppur introvabili, dei Colli Piacentini.



1997

Naso rustico, leggermente polveroso. Cifra olfattiva che identifica quest’annata insieme al caramello, al caffè e alla nocciola, lasciando intravedere cenni di agrumi canditi; ma dove veramente questo vino fa la differenza è in bocca. Qui rivela la sua potenza e le sue potenzialità. Qui si distende grasso e lungo, concentrato e viscoso. Spesso e straripante. La materia è tanta. Più potente che elegante. Di suadente maestosità l’impatto, anche se un po’ monolitico e senza forse il cambio di ritmo, il contrasto e il dinamismo che, insieme a un naso più preciso, lo avrebbero reso veramente grande. 87/100



1998

Le due nuove botticelle del secondo e del terzo anno di affinamento (rovere, 150 litri di capacità, doghe molto spesse), entrano “in funzione” e permettono un nuovo e diverso sviluppo aromatico (che troverà maggior compimento in annate successive), qui ancora in via di focalizzazione, con note nocciolose, di fico secco, datteri, prugne disidratate, tamarindo e melata. La bocca, al solito imponente e cremosa, di peso e spessore, è appena sbilanciata verso un’opulenta dolcezza. Un’annata di transizione, dove si intravedono nuove possibilità espressive. 86/100



1999

Colore noce mogano. Pur non avendo ancora trovato il perfetto equilibrio coi due legni nuovi, ecco farsi più compiuta l’ipotesi di spostamento verso nuove frontiere espressive e possibili margini di crescita per questo nettare. Soprattutto al naso dove, volatile a parte sempre un po’ sopra le righe, è in corso una fase di pulizia, ampliamento e disvelamento degli aromi. Nocciola, mallo di noce, miele di castagno e melata, marron glacée, tamarindo, e poi sensazioni quasi torbate. La bocca è densa e potente, profonda e avvolgente, ricca di quella succulenta polpa cremosa che è forse il tratto più distintivo di questo vino. 88/100



2000

Scende oleoso nel suo caldo e leggermente velato color mogano con lievi screziature quasi ramato-rossastre, aprendosi su un naso che oltre all’acidità volatile mostra sfumature nitide di miele di castagno, confettura di susine, marron glacé, castagnaccio, caramello e dolci note di caffè. In bocca l’impressionante voluminosità si abbandona ad una dolce polpa opulenta di bella persistenza, alla quale gioverebbero qualche contrasto e rilievo in più. 85/100


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